Monti Invisibili
067 Cavo degli Zucchi
066 Rio Maggiore
065 Cava buia di Fontibassi
062 Cava buia di Fontibassi
059 Cava buia di Fontibassi
058 Cava buia di Fontibassi
057 Cavabuia di Fontibassi
053 Rio Maggiore
051 Rio Maggiore
050 Rio Maggiore
048 Rio Maggiore
047 Rio Maggiore
046 Civita Castellana Soratte
044 Civita Castellana
042 Civita Castellana
039 Pizzo Jella
038 Pizzo Jella
037 Pizzo Jella
034 Pizzo Jella
029 Pizzo Jella
027 Pianaella Terminillo
026 Fosso dell'Isola
021 Isola Conversina
020 Verso Isola Conversina
018 Verso Isola Conversina
016 Fosso dell'Isola
015 Verso Tre Ponti
014 Rio Maggiore
011 Tomba della Regina
008 Cavo degli Zucchi
006 Cavo degli Zucchi
005 Cavo degli Zucchi
004 Cavo degli Zucchi
001 Parco Falisco
Pizzo Jella, 28 novembre 2015. La complessa pianificazione della Via Amerina, percorsa poi con soddisfazione in quel di aprile, mi aveva condotto a scoprire altri luoghi di questo incredibile territorio di Tuscia a cavallo fra reminescenze etrusche, falische e romane: il mitico Pizzo Jella, ad esempio, di assai incerta localizzazione, ma anche l’impervia forra del Rio Maggiore e la cava buia di Fontibassi.
È sorto così il desiderio di andare alla scoperta di questi luoghi remoti, immersi sì in un territorio fortemente antropizzato, del quale però si ha solo un labile sentore durante il cammino. Ne è nato un anello di estrema suggestione che alterna lunghi tratti scorrevoli ad altri di assai dubbia e ardua percorrenza.
Il sole illumina radente la campagna gelata quando con Andrea ci incamminiamo da Falerii Novi lungo la Via Amerina per la vicina e sempre stupefacente necropoli del Cavo degli Zucchi, questa lunga tagliata basolata costeggiata da tombe e monumenti etruschi. Ecco anche la Tomba della Regina e scavalchiamo quindi il Rio Maggiore, dal quale dovremmo tornare nel pomeriggio.
Da Tre Ponti e San Lorenzo ci immergiamo in brumosi boschi ancora autunnali e risaliamo alle medievali mura dell’Isola Conversina per uno sguardo dall’alto a questo misterioso territorio. Da qui il percorso si fa per noi incognito.
Confidando nelle indicazioni del gps ci avviamo per un’evidente traccia che fiancheggiando grotte e cavità ci innalza sopra le strapiombanti pareti del Fosso dell’Isola, portandoci infine sul vasto altopiano di Pianaiella. Sotto un caldo sole sferzato da un’aria gelida, il Terminillo scruta innevato i nostri passi su un sentiero ormai fattosi carrareccia e il cammino procede sereno e spedito sull’ampio crinale traforato da cave di tufo, fra piante di ginepro, erica arborea e corbezzolo.
Qualche rara indicazione – posta soprattutto quando non serve – ci rassicura sulla direzione, ci tuffiamo nella Selva Jella e dopo tre chilometri giungiamo a un non segnalato bivio, dove dovrebbe distaccarsi sulla destra il sentiero per il remoto pizzo. Cerchiano, lo troviamo e c’infiliamo nel folto. Presto una breve tagliata sul bordo del Rio Vicano ci da accesso a questo sperone alberato distaccato dal corpo dell’altopiano.
Ci aggiriamo con meraviglia fra le rovine dell’antico pagus falisco arroccato sulla sommità: la torre, le fortificazioni, l’intricata serie di ambienti ipogei che sicuramente hanno vissuto numerose altre vite dopo quell’era remota.
Il thermos ci dona un tè caldo e torniamo al bivio per scendere in breve giù nel fosso. Ora, qui noi volgeremo gli scarponi nettamente a sinistra, impegnandoci in un paio di ardimentosi guadi e altrettante cinghialate. E invece è probabile che se fossimo andati pochi metri avanti sulla sinistra orografica, avremmo incontrato un ponticello che ci avrebbe portato facilmente sull’altra sponda e per la comoda carrareccia a Civita Castellana. Comunque, sobbarcandoci invece tutto quello di cui sopra, riagguantiamo la carrareccia e con agevole cammino risaliamo alla chiesa di Santa Maria delle Piagge e all’antica Falerii, dove peniamo non poco per trovare un forno, una norcineria, una focacceria nostrana e infine ci rassegnamo alla stantia pizza di un kebabbaro.
Il sole ha scavallato da un’ora il suo acme e in questa stagione vuol dire che non ci restano molte ore di luce. Attraversiamo tosto tutto l’abitato e siamo infine sul bordo dei Rio Maggiore, senza riuscire a individuarne l’accesso. Avanti e indietro, chiediamo a un nativo che ignora anche l’esistenza del fosso e decidiamo di forzare. Ci avventuriamo letteralmente sotto il piano di un grande ponte stradale ed ecco che insieme a una stretta tagliata appare l’amichevole segno biancorosso della segnaletica nostrana. Ma le difficoltà non sono affatto terminate, anzi sono appena all’inizio. Ci inoltriamo (per dirla con le parole di Andrea) in un mondo obliquo, fatto di angusti sentieri erosi e sdrucciolevoli, tappezzati di foglie bagnate e a picco sulla forra; un profluvio di alberi caduti ingombra il passo, obbligandoci a penosi contorcimenti in una verzura umida e spinosa sulla quale cala inesorabile la penombra del pomeriggio invernale; per tacere dei tratti di vegetazione intricata dove la traccia si perde del tutto fra le verticali pareti dell’orrido. Eppure, ogni tanto, appare beffarda la segnaletica biancorossa.
La passerella che dovrebbe condurci sull’altra sponda se l’è bella che travolta una quercia, un'altra è una specie di tronco spalmato di sciolina e procediamo quindi in incerti guadi con l’acqua al ginocchio, perdendoci poi nei grovigli, con foglie, spini e rametti che si insinuano nel collo fin giù nelle mutande. E così, fra capitomboli guadi e graffi, siamo infine all’ingresso dell’incredibile cava buia di Fontibassi, ancor più buia nell’ora pomeridiana. Ci addentriamo con stupore e meraviglia nel silenzio delle antiche pareti tufacee scavate a bottiglia, per risparmiare nello scavo ma anche per una maggiore protezione dalle intemperie. Sulle alte muraglie una gran quantità di enigmatiche lettere e iscrizioni.
Torniamo al nostro penoso e divertente cammino e con l’aggiunta di un altro paio di guadi e di una corda fissa su un masso Palmolive, eccoci infine defatigati e contenti al ponticello dell’andata. Riattraversiamo nell’oscurità incipiente il Cavo degli Zucchi, con le orbite vuote delle antiche tombe che sorridono compiaciute alla nostra lunga avventura.
Tante sono state le esperienze e le emozioni di questa lunga giornata che è sembrato un cammino di più giorni: il consueto comprime il tempo, l’insolito lo dilata.