Monti Invisibili
Calanchi di Civita di Bagnoregio
Quota 443 m
Data 8 febbraio 2020
Sentiero non segnato
Dislivello 696 m
Distanza 13,47 km
Tempo totale 6:37 h
Tempo di marcia 6:05 h
Cartografia IGM 137 IV NE Bagnoregio
Descrizione Da Lubriano (440 m) con traccia piuttosto agevole a Civita di Bagnoregio (443 m, +1,20 h) con visita del borgo (+1 h). Poi per una serie di sentieri e tracce scoscese e scivolose attraverso il magico territorio dei calanchi fino a un acrocoro affacciato sul Fosso dell’Olmeto (361 m, +1,55 h) e ritorno a Lubriano (+1,40 h) con visita del borgo (+10 min.). Escursione che alterna tratti molto agevoli ad altri di ardua percorrenza a motivo di suoli scoscesi ed estremamente scivolosi e tratti spinosi e di difficile orientamento.
059 Lubriano
056 Verso Lubriano
055 Verso Lubriano
054 Verso Lubriano
051 Dall'acrocoro di quota 361
050 Dall'acrocoro di quota 361
049 Dall'acrocoro di quota 361
048 Dall'acrocoro di quota 361
047 Dall'acrocoro di quota 361
046 Verso acrocoro di quota 361
044 Acrocoro di quota 361
043 Calanchi
042 Calanchi
041 Calanchi
040 Calanchi di Ponticelli
039 Calanchi di Ponticelli
038 Calanchi di Ponticelli
036 Civita di BagnoregioeilMontaione
035 Civita di Bagnoregio
034 Civita di Bagnoregio
033 Verso il Montaione
030 Calanchi
029 Contestazione generale Alberto Sordi
028 Civita di Bagnoregio
027 Civita di Bagnoregio
026 Civita di Bagnoregio
025 Civita di Bagnoregio San Donato
024 Civita di Bagnoregio San Donato
023 Civita di Bagnoregio
021 Civita di Bagnoregio
018 Civita di Bagnoregio
017 Civita di Bagnoregio
015 Civita di Bagnoregio Bucaione
013 Verso Civita di Bagnoregio
012 Verso Civita di Bagnoregio
011 Verso Civita di Bagnoregio
010 Verso Civita di Bagnoregio
009 Verso Civita di Bagnoregio
008 Verso Civita di Bagnoregio
007 Verso Civita di Bagnoregio
005 Lubriano
003 Civita di Bagnoregio
002 Civita di Bagnoregio
001 Lubriano Chiesa della Madonna del Poggio
Calanchi di Civita di Bagnoregio, 8 febbraio 2020. Quando ero bambino il tempo aveva una sua lenta cadenza. A ottobre iniziavano le scuole e ci volevano mesi per arrivare alle agognate festività natalizie. Per tacer di quelle estive che passavano anni perché giungessero.
Poi, con il progredire dell’età e degli affanni, il tempo ha preso un’andatura rapida e poco piacevole: già al liceo, fra compiti e attività sportive, sembrava di non avere più tempo; all’università, poi, quasi bisognava chiederlo in prestito il tempo. E con l’arrivo del lavoro e della famiglia il tempo non esiste più. Insomma, più infarcisci il tempo di attività, più questo si mette a correre, forse per fuggire via.
Già io sono uno che “non posso stare fermo, con le mano nelle mano” – per dirla con un vecchio collega che citava Margherita, non quella di Bulgakov bensì quella di Cocciante – ma questi ultimi tempi un po’ troppo frenetici, nei quali le settimane sembrano giorni e gli anni rotolano via, mi hanno condotto a considerare la necessità di rallentare il tempo, o meglio la sua percezione.
Regis Debray scriveva: “Quando percorro a piedi trenta chilometri al giorno, calcolo in anni il mio tempo; quando in aereo ne faccio tremila, calcolo in ore la mia vita”. Ecco, il cammino l’ho sperimentato come un ottimo strumento per rallentare il tempo, quasi che la naturale cadenza del passo si riverberi sul cervello, permettendo di recuperare una dimensione umana dove di nuovo le distanze sembrano grandi e i giorni tornano tali.
Come una videocamera che riprenda al rallentatore, per frenare il tempo dobbiamo aumentare la velocità con la quale percepiamo la realtà; abituarci a elaborare più informazioni dando importanza ai dettagli, stupendoci per le novità, soffermandoci sulle piccole cose: per prendere coscienza del qui e ora e imparare ad apprezzare il presente. Tutte attenzioni ardue durante la frenesia quotidiana, ma naturali nel corso del cammino, quando la vita viene assorbita da questo atto basilare e dal mondo che ci circonda. In definitiva ritornare alla nostra condizione di bambini, quando il tempo era lento, tutto era nuovo e il cervello viaggiava a mille.
Per sperimentare questa sorta di teoria della relatività, in una limpida e fredda mattina ci troviamo con Andrea nel borgo viterbese di Lubriano. Davanti a noi si staglia sospesa la rupe di Civita di Bagnoregio, la città che muore nelle parole di Bonaventura Tecchi. Caliamo agili in un luminoso anfiteatro tufaceo ma presto veniamo assorbiti nel mondo cupo e gelato del fondo valle. La strada è interrotta per velleitari lavori di consolidamento – come se si potesse consolidare l’acqua o la sabbia – ma noi proseguiamo indifferenti fra ruspe e benne su un costone argilloso, fino all’accesso del Bucaione, la galleria etrusca che taglia la rupe dove sorge la Civita.
E dall’oscurità sorgiamo nell’assolato borgo dalle pietre pericolosamente in bilico. Muri aggettanti, giardini pensili, vie tortuose sporte su vertiginosi affacci, in un’atmosfera medievale di tempo sospeso. Un tè ci scalda al sole della piazza che nel 1970 fu anche di un memorabile Alberto Sordi nell’episodio Il prete del film Contestazione generale.
Di nuovo nel Bucaione, ci lasciamo alle spalle una Civita che esprime tutta la sua inesorabile fragilità e caliamo nel magico mondo della Valla dei Calanchi, fenomeno erosivo nelle argille plioceniche che dona al paesaggio un aspetto lunare.
Con piede sicuro sfiliamo su bordi vertiginosi resi ancora più inusuali da una verticalità argillosa. Incrociamo esili muraglie, candide vele tortuose che intersecano il nostro sguardo, recando ancora in equilibrio i legni che ne consolidavano impossibili sentieri sommitali.
Iniziamo la salita su un periglioso scivolo di crete contornato di spini, dove duriamo fatica a rimanere in piedi. Pensiamo con sgomento a come sarà mai possibile scendere da lì. Ma finalmente siamo in cima a un acrocoro boscoso che si protende come la prua di una nave su un corrugato mare in tempesta. In lontananza risplende la vetta innevata del Terminillo.
La discesa è costellata di graffi e capitomboli. Ma eccoci a valle, dove intraprendiamo una traversata in saliscendi su un versante assolato e franoso, dominato da torrioni screziati e da ciclopici muretti a secco. Il suolo trema quando un quintale di cinghiale sfreccia in mezzo a noi. E poi siamo di nuovo a Lubriano: sono passate solo sei ore dalla partenza ma sembra trascorsa un'eternità.