Monti Invisibili
Traversata della Provvidenza
Quota 2.335 m
Data 26-27 febbraio 2001
Sentiero segnato
Dislivello in salita 794 m
Dislivello in discesa 1.217 m
Distanza 11,28 km
Tempo totale 10:30 h
Cartografia Il Lupo Gran Sasso d’Italia
Descrizione Primo giorno (2,15 h, +215 m, -104 m): da Campo Imperatore per la Sella di Monte Aquila (2.335 m) e il Rifugio Garibaldi (2.231 m); notte nel rifugio a 0° C dopo aver liberato l’accesso dalla neve.
Secondo giorno (8,15 h, +579 m, -1.113 m): dal Rifugio Garibaldi per la Val Maone, la Sella dei Grilli, la Valle del Venacquaro, la Sella del Venacquaro, lo Stazzo della Solagne e la Masseria Vaccareccia. Nebbia, vento, visibilità limitata e temperatura d -3° C.
06 provvidenza log
07 provvidenza dislivello
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131 028 Valle del Venacquaro

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131 026 Verso la sella dei Grilli

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131 015 Rifugio Garibaldi

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131 009 Gran Sasso

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131 003 Rifugio Garibaldi

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130 029 Rifugio Garibaldi

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130 026 Sella di Monte Aquila

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130 024 Sella di Monte Aquila

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130 014 Verso la sella di Monte Aquila

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130 010 Verso sella di Monte Aquila

Traversata della Provvidenza, 26-27 febbraio 2001. Lasciamo un'auto alla diga della Provvidenza e l'altra a Fonte Cerreto. Entriamo nella funivia bardati e attrezzati: sono solo due giorni, ma in montagna non si scherza, soprattutto in inverno; vestiti pesanti, saccoletto, materassino, ramponi, piccozza, ghette, fornello e cibo in abbondanza. Solo l'acqua ci manca, ma intorno ce ne è a profusione anche se sotto forma di neve.
Ai 2.130 metri di Campo Imperatore la funivia ci deposita in un paesaggio inesistente: solo nebbia di un bagliore accecante. La memoria di tante altre ascensioni ci permette di individuare a naso la giusta direzione verso la montagna e, nell'aria gelida, veniamo inghiottiti dalla nebbia.
Il percorso invernale devia da quello estivo per aggirare alcune pericolose cornici di neve e i versanti più ripidi esposti a sud: la valanga è un rischio da evitare anche a costo di un percorso più lungo.
In questo primo tratto la piccozza non serve e i bastoncini da trekking ci assicurano una progressione rapida e sicura.
Alla Sella di Monte Aquila inaspettatamente la nebbia si alza, regalandoci la vista su tutto il vasto anfiteatro roccioso di Campo Pericoli e sull'imponente parete sud del Corno Grande che buca un cielo color cobalto. Un unico lenzuolo di neve nasconde armonicamente asperità e dirupi.
Il sole è ormai basso quando giungiamo al Rifugio Garibaldi, il cui ingresso è sepolto sotto due metri di neve. Scaviamo con le mani e ci rifugiamo nelle mura buie e gelate del bivacco.
Ci prepariamo un tè caldo sciogliendo la neve sul fornello, poi un pasto caldo e quattro chiacchiere sotto un cielo che si riempie di stelle. Ci rintaniamo nei nostri sacchiletto e mentre recuperiamo un po' di calore, pian piano sprofondiamo nel buio del sonno.
 
Un viso assonnato si affaccia sulla porta del rifugio per vedere nient'altro che il nulla: nebbia ovunque; a questa quota si tratta di nuvole e ciò non fa presagire niente di buono per la giornata.
In un gruppo affiatato ognuno sa cosa deve fare, senza bisogno di troppe parole: in pochi minuti siamo in marcia e riprendiamo a imprimere le nostre orme in un mondo che sembra lì solo per noi. La neve gelata ci induce a calzare i ramponi e, come calzature fatate, riusciamo a camminare con sicurezza su una superficie liscia come uno specchio.
La discesa verso la Val Maone è rapida e riposante: ora si inizia a faticare. Le piccozze ritmano e danno sicurezza ai nostri passi durante la salita dominata dagli aspri e pericolosi torrioni di Pizzo Intermesoli. Mentre arranchiamo lenti un camoscio sorveglia i nostri passi dall'alto di un dirupo.
La Sella dei Grilli è irriconoscibile: tutto intorno la carta riporta le vette di Gran Sasso, Corvo, Cefalone, Intermesoli; ma per noi solo nebbia e un vento tagliente che spazza la creste e ci spara sul viso una miriade di pallini di neve dura e gelata.
Fuggiamo lungo il ripido versante ovest nella Valle del Venacquaro: angolo remoto e selvaggio in piena estate, è ora addolcito dal candido e uniforme manto nevoso. La totale assenza di alberi e vegetazione da l'impressione di essere in un luogo lontano nello spazio e nel tempo. Procediamo in silenzio in fila indiana e la neve molle ci costringe a frequenti cambi in testa nel faticoso compito di aprire la pista. Siamo ora sotto il tetto di nubi circondati da alte pareti le cui cime si perdono nelle nuvole. Potremo essere ovunque, anche in Antartide, e la mente indugia sul racconto di Howard P. Lovecraft, Le montagne della follia. Perché siamo quassù a faticare come bestie con un tempo indegno, rischiando vita e salute lontano dagli agi della vita domestica? Ma Ulisse potrà andare tranquillo per il mondo sino a che ci sarà la sua Itaca ad attenderlo.
La salita verso la sella del Venacquaro impegna a fondo le nostre forze: un vento gelido spira contrario su una pendenza via via crescente e la nebbia rende impossibile stabilire la direzione e vedere la meta. Possiamo solo salire: 30 passi e 15 secondi di riposo; 20 passi, 15 secondi, mentre il cervello urla: non ce la faccio più; e l'anima sussurra: si che puoi.
L'arrivo alla sella è una liberazione fisica e mentale, e anche se il termometro segna -3° C e la strada è ancora lunga, la parte più dura è passata. Pochi metri di discesa e intravediamo fra le nubi la forma frastagliata del Lago di Campotosto; passiamo rapidi vicino ai resti dello Stazzo delle Solagne, con il tetto che giace a 50 metri dallo squassato corpo principale. Ancora tre ore di cammino per la Diga della Provvidenza su un sentiero che pian piano abbandona la neve e ritrova faggi e primule.