Monti Invisibili

Fonte Grotte

Quota 2.050 m

Data 4 giugno 2017

Sentiero non segnato

Dislivello 510 m

Distanza 8,22 km

Tempo totale 4:35 h

Tempo di marcia 3:19 h

Cartografia Il Lupo Gran Sasso d’Italia

Descrizione Dal parcheggio di Fonte Vetica (1.615 m) per il fontanile di quota 1.690, Colle dell’Omo Morto (1.811 m), la Sella di Fonte Grotte (2.009 m, +1 h), la prima Fonte Grotte (2.045 m, +7 min.) con visita della grotta (20 min.), la seconda Fonte Grotte (2.050 m, +42 min.) con visita della grotta (25 min.), la Miniera di Lignite (1.764 m, +45 min.) e il parcheggio (+45 min.). Escursione in ambiente severo. Percorso dalla sella per la prima grotta su traccia instabile ma sicura. Percorso per la seconda grotta completamente fuori traccia su terreno scosceso, instabile e pericoloso, con caduta pietre dal costone. Avvistata una volpe.

 

Se la meta è solo la seconda grotta (la più bella) è consigliabile accedervi dalla Miniera di Lignite, comunque su insidioso terreno d’avventura. Per una sommaria visita dei primi ambienti (le due grotte hanno uno sviluppo di oltre 300 metri e sono riservate agli speleologi) sono indispensabili casco, torcia frontale e adeguata copertura.

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Traccia GPS

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069 Campo Imperatore

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057 Masso aragonese

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056 Miniera di Lignite

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055 Miniera di Lignite

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054 Miniera di Lignite

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053 Genziane

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052 Verso Miniera di Lignite

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051 Seconda Fonte Grotte

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050 Seconda Fonte Grotte

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049 Seconda Fonte Grotte

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048 Seconda Fonte Grotte

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047 Seconda Fonte Grotte

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046 Seconda Fonte Grotte

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045 Seconda Fonte Grotte

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042 Seconda Fonte Grotte

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041 Seconda Fonte Grotte

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040 Seconda Fonte Grotte

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039 Seconda Fonte Grotte

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038 Seconda Fonte Grotte

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037 Seconda Fonte Grotte

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036 Seconda Fonte Grotte

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034 Seconda Fonte Grotte

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032 Seconda Fonte Grotte

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031 Verso seconda Fonte Grotte

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030 Seconda Fonte Grotte

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029 Prima Fonte Grotte

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028 Prima Fonte Grotte

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026 Prima Fonte Grotte

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025 Prima Fonte Grotte

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024 Prima Fonte Grotte

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022 Prima Fonte Grotte

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020 Prima Fonte Grotte

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018 Prima Fonte Grotte

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017 Prima Fonte Grotte

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016 Prima Fonte Grotte

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015 Prima Fonte Grotte

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014 Prima Fonte Grotte

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013 Verso Fonte Grotte

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012 Me

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011 Sella di Fonte Grotte

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010 Sella di Fonte Grotte

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009 Monte Bolza e Sirente

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008 Verso Fonte Grotte

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007 Fontanile quota 1690

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005 Monte Camicia

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004 Verso Fonte Grotte

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003 Monte Camicia

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002 Monte Camicia

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001 Fonte Vetica

Fonte Grotte, 4 giugno 2017; 390.237 m. Quando ero bimbo la scena di un film che più mi incuteva timore (vabbè, a parte Belfagor, ma bisogna essere ben attempati per ricordare questo sceneggiato televisivo francese del 1966) e al contempo solleticata il mio spirito di avventura, era quella della grotta nel Tom Sawyer di Mark Twain. Il buio, i bagliori dei minerali all’incerta luce delle torce, la miriade di gallerie senza una direzione e la minaccia incombente di Joe l’Indiano nascosto nei più oscuri recessi.

Pur non essendomi mai dedicato seriamente all’ambiente ipogeo, le grotte hanno continuato ad attrarre il mio genio esplorativo. Così nello zaino porto sempre una torcia e quando durante il cammino m’imbatto in un antro, una cripta, una spelonca, un buco, un tunnel, una tomba, non ci faccio mai mancare una capatina dentro. Chissà… Freud nell'Interpretazione dei sogni sostiene che le caverne rappresentano nel nostro inconscio l’universo femminile.

Oggi però il fine stesso della scampagnata è stato la scoperta di una grotta (anzi due): quella Fonte Grotte che sulla cartografia del Gran Sasso appare a mezza costa sul paginone del Monte Camicia a oltre duemila metri di quota e la cui sorgente interna – la risorgenza più alta dell'Appennino – va proprio ad alimentare il fontanile di Fonte Vetica.

Così dall’omonimo parcheggio mi avvio solitario fuori sentiero per verdi praterie dominate dalla mole incombente del Camicia, con la direzione ben delineata dall’evidente faglia che taglia il paginone e nella cui parete si celano le grotte. Supero le grandi briglie che spezzano la forza delle acque al disgelo e il fuori sentiero si fa inaspettatamente erboso tratturo che lambisce un potente fontanile in panoramica posizione sulla sconfinata piana di Campo Imperatore.

Copiose fioriture di genziane e violette mi scortano sul Colle dell’Omo Morto e mentre il Sirente sorge roccioso dietro il roccioso Bolza, giungo sul bordo della faglia, ai 2.009 metri della Sella di Fonte Grotte.

I due antri sono già in vista, ma la parete che devo lambire non m’ispira punto fiducia e cingo il casco prima di avventurarmi su una flebile traccia che solca un instabile ghiaione.

Pochi minuti e sono davanti alla minuta porta di ferro che protegge l’accesso al mondo degli inferi: è solo appoggiata e trattenuta da due pietre.

Inforco la torcia e m’inoltro in questo universo sotterraneo, fra stillicidi di acque e bagliori minerali che si accendono al contatto col fascio luminoso. Una breve rampa dove rivola acqua su compatto e candido calcare e aggiro una curva a gomito sulla sinistra che mi consegna definitivamente all’oscurità.

Dentro è il silenzio dei gocciolii, alcuni tratti mi obbligano a chinarmi, ma procedo agevolmente fra una craniata e l’altra. Una cavità nella volta e grandi massi sul pavimento testimoniano di alcuni crolli e m’incutono quel tanto di timore da ispirare prudenza.

Decido di andare avanti fino a che non mi debba chinare di nuovo. E il momento arriva. La mia torcia è potente abbastanza da illuminare un lungo corridoio tortuoso e altre sale, ma non sono uno speleologo e mi accontento di spegnere la luce e di rimanere per alcuni minuti nel silenzio della montagna, con centinaia di metri di roccia sopra la mia testa.

Dopo venti minuti di oscurità la luce ferisce. La seconda grotta è in vista a meno di centro metri, ma alcune pietre vengono giù dalla parete e il percorso diretto, su un terreno dirupato e ripido, appare impossibile.

Torno alla sella e scendo alcuni metri per cercare una via non troppo perigliosa. E invece il terreno è scosceso, instabile, friabile, i sassi fuggono sotto i piedi, fatico a mantenere l’equilibrio. Intravedo una traccia, ma quando mi avvicino non la trovo. Forse mi sto tenendo troppo alto, sarebbe necessario scendere di più. Lunghi minuti di patimenti e insidie e sono infine alla cavità che cela la seconda grotta.

Le pietre fischiano vicine e mi calo rapido nell’antro, illuminato al suo ingresso da un sole radente che accende d’ocra le pareti.

Una breve rampa e mi si apre un mondo di meraviglie. Tanto l’altra era povera, quanto questa è ricca di stalattiti, stalagmiti, fitti aghi di capelli d’angelo, concrezioni e striature colorate, stillicidi che formano cerchi concentrici in pozze e laghetti cristallini. Mi addentro in questo splendore come Pinocchio nella pancia della balena.

Nella suggestione dell’oscuro silenzio, raggelo alla sensazione di voci che mi fanno trasalire: è solo (spero) la voce della montagna.

Anche qui potrei procedere oltre, ma è meglio accontentarsi e riprendere la via del ritorno sull’instabile discesa.

Da un vecchio stazzo fugge una volpe che mi regala un lauto raccolto di orapi. Supero la diruta miniera di lignite, realizzata negli anni ’30 per sfruttare in regime autarchico gli scisti bituminosi di questo versante e mai entrata in funzione, e sfioro l’isolato Masso Aragonese, con il suo stemma scavato nella roccia con probabili funzioni doganali.

Incrocio a lungo per l’arida Fornaca prima di giungere di nuovo alle verdi praterie di Fonte Vetica.