Traversata delle Mainarde
Quota 2.242 m
Data 19-21 giugno 2011
Sentiero parzialmente segnato
Dislivello 3.998 m
Distanza 58,59 km
Tempo totale 23:25 h
Tempo di marcia 20:56 h
Cartografia Il Lupo Parco Nazionale d'Abruzzo
Descrizione Primo giorno (10,05 h, +2.316 m, -1.899 m, 24 km): dal parcheggio del monumento agli Alpini (1.030 m) per il passo della Montagnola (1.740 m, +1,31 h), monte Marrone (1.805 m, +7 min.), monte Ferruccia (2.005 m, +45 min.), monte Mare (2.020 m, +6 min.), il passo della Tagliola (1.782 m, +23 min.), il Cappello del Prete (2.013 m, +33 min.), le Coste dell’Altare (2.075 m, +46 min.), monte Cavallo (2.039 m, +1,19 h), la sella di Prato Piano (1.827 m, +41 min.), monte Forcellone (2.030 m, +49 min.), fonte Fredda (1.681 m, +51 min.) e Prato di Mezzo (1.430 m, +1 h). Giornata perturbata e a tratti assolata con vento molto forte in quota. Avvistato un camoscio sulle Coste dell’Altare.
Secondo giorno (12,15 h, +1.306 m, -1.714 m, 29,50 km): da Prato di Mezzo per il vallone della Meta, il passo dei Monaci (1.967 m, +1,42 h), la Metuccia (2.105 m, +45 min.), monte a Mare (2.160 m, +38 min.), il passo dei Monaci (+56 min.), la Meta (2.242 m, +41 min.), monte Tartaro (2.191 m, +1,34 h), monte Altare (2.174 m, +48 min.), la valle Lunga, la valle Porcile e Barrea (1.067 m, +3,56 h). Giornata velata e calda. Avvistato un camoscio sotto la Meta e un branco di un centinaio di cervi alla fine della valle Lunga.
Terzo giorno (1,05 h, +376 m, -40 m, 5,09 km): in corriera per Castel di Sangro, Isernia e Castelnuovo a Volturno (7,30-15,00) e poi dal paese al parcheggio del monumento agli Alpini.
Prato di Mezzo, 19 giugno 2011. Uno degli aspetti più suggestivi di una lunga traversata zaino in spalla è rappresentato dall'allontanamento progressivo dalla civiltà per ritrovarsi gradualmente soli, immersi fra alberi, radure e vette. Se poi lo zaino non è troppo pesante e il sentiero è agevole, lo scarpone procede agile, senza permettere alla fatica di distogliere la mente dalla placida serenità dell'ambiente circostante, e si può camminare per ore, fra una sosta per uno scatto e una per rifocillarsi, adagio come si conviene a chi abbia intenzione di camminare a lungo. E lunghe ore di cammino richiedono sicuramente le Mainarde, gruppo isolato e poco conosciuto del Parco Nazionale d’Abruzzo.
La mia Peterson’s arde aromatica in questa luminosa serata di quasi estate. Mentre calano le ombre della sera, intorno a me è tutto un brulicare di vita: gli uccelli cinguettano, i grilli friniscono e in sottofondo risuonano i muggiti e i belati di migliaia di armenti. A dopo.
La pipa è finita e io me ne sto ancora nascosto fra gli alberi sopra Prato di Mezzo: qui c’è ancora un via vai di gente, vicino c’è un accampamento di pastori e io preferisco mantenere un basso profilo.
Questa mattina sveglia alle 4 per coprire i 200 km per Castelnuovo al Volturno, in Molise. Da quota 1.030 del monumento degli Alpini inizio a camminare lungo una ripida carrareccia attraverso i maestosi scenari delle Mainarde: boschi, vette e prati con una sensazione di splendido isolamento. In un’ora e mezzo giungo ai 1.782 metri del valico della Ferruccia (passo della Montagnola), dove una breve salita mi reca ai 1.805 metri del monte Marrone. Da precipiti roccioni la vista si allontana sul lago di Castel San Vincenzo e su tutto il Molise.
E’ tempo di attaccare i primi duemila della giornata (Ferruccia e Mare), dove raggiungo il confine con il Lazio e un vento teso che mi accompagna fino al primo pomeriggio. Scendo al valico della Tagliola e decido di anticipare a oggi due vette previste per domani: il Cappello del Prete e le Coste dell’altare. La salita è faticosa, con il vento che mi sposta e rapidi treni di nembi che mi investono.
Raggiunto il quarto duemila della giornata, volgo gli scarponi decisamente verso monte Cavallo. Intense fioriture accompagnano i miei passi, mentre affronto facili passaggi di arrampicata resi impegnativi dal vento. Ora manca solo il Forcellone, che richiede molto alle mie gambe stanche. Alle 15,40 sono in vetta, dove venti minuti di sosta mi permettono di godere di un panorama sconfinato, popolato di mandrie, vette e nuvole.
Inizio la discesa verso la fonte Fredda. Il tempo va rasserenandosi e l’aria si riempie di grilli serali. Arrivato alla fonte decido che non mi va di pernottare all’aperto a una quota troppo bassa e con il rischio di pioggia notturna e mi risolvo a raggiungere Prato di Mezzo. Un’ora di marcia ancora mi reca in questo luogo con ristorante e area picnic, ma è tutto chiuso. Trovo però una costruzione aperta con tanto di porta e chiave: un ottimo luogo per stendere il materassino.
Ora quasi non ci si vede più: aspetto che vada via l’ultima macchina e raggiungerò il mio giaciglio. Domani sveglia alle 4,45.
Isernia, 21 giugno 2011. A quanto pare ho perso la mia Parker compagna di tante pagine annotate nei luoghi più sperduti del mondo, e ora sto cercando di scrivere con il refill che avevo prudentemente acquistato.
Dunque la traversata delle Mainarde e dei monti della Meta è conclusa: un’altra perla che si aggiunge alla mia collana di conoscenze montane.
Che vette ragazzi! Isolate, impervie, maestose, selvagge. Quasi totalmente assenti i sentieri, così come la segnaletica. Passo sicuro e senso dell’orientamento sono requisiti imprescindibili per muoversi su queste montagne che fanno sentire veramente lontani dalla civiltà, che soddisfano il desiderio di orizzonti sconfinati e di solitudine, lasciando allo sguardo catene su catene di vette sconosciute.
La notte a Prato di Mezzo è stata pressoché insonne sul duro pavimento e alle 5 mi sono messo in marcia alla volta del passo dei Monaci. Gambe pesanti e stanchezza saranno le mie compagne per tutta la giornata.
In un’ora e quaranta percorro la stupenda valle che con le prime luci del giorno mi conduce dalle fitte faggete ai pascoli di quota proprio sotto il roccioso massiccio della Meta. Fra dense fioriture di gialli ranuncoli e genziane blu mi lancio alla conquista della Metuccia (2.105) e monte A Mare (2.160), gli ultimi duemila delle Mainarde che mi mancano. Lunghe lingue di neve si lanciano verso il Lazio, mentre la catena funge da panoramico e precipite confine verso il Molise.
Messi nel carniere questi altri due duemila, sono tornato al passo e, fra camosci saltellanti, ho intrapreso i 300 metri di ripida e faticosa salita verso la Meta. I 2.242 metri della vetta rocciosa lasciano poco all’immaginazione: dal vertice dove si incontrano i confini di Abruzzo, Lazio e Molise si aprono allo sguardo tre regioni, tutto il cammino del giorno precedente e di quello odierno.
Con le gambe sempre più legnose giunge l’ora di entrare di straforo nella vietata zona di riserva integrale. Un’impegnativa cresta rocciosa chiede molto alla mia stanchezza, mondo verticale per camosci dove gli umani sono male accetti. Le vedute si spalancano lontane ai miei fianchi, mentre sono impegnato sull’impervia linea che rilega insieme Meta, Tartaro e Altare. Giunto su quest’ultima, sono troppo stanco e rinuncio al Petroso, che verrà buono per un’altra avventura. Undici duemila in due giorni: posso ritenermi soddisfatto.
Volgo gli scarponi verso Barrea, lungo un sentiero che però esiste solo sulla carta. Valli isolate popolate solo di cavalli bradi, laghetti, orapi e, quando sto per tuffarmi nel bosco, l’apparizione improvvisa di un branco di cervi, nel quale piombo inatteso per loro e per me. Un centinaio di esemplari, con le femmine, i cuccioli e i maschi dai palchi imponenti, che si danno a una fuga precipitosa e i cui zoccoli risuonano a lungo davanti a me, mentre procedo nella foresta.
La strada per Barrea è ancora lunga: chilometri e chilometri di alberi, un torrente si avvicina rumoreggiante al sentiero e i miei pensieri vanno a Flavia e Vittoria. Vorrei vivere queste avventure con loro; sento gli occhi che si inumidiscono.
Sono oltre dodici ore di cammino quando giugno a Barrea, alta sul suo lago. La prima sosta è per una birra con patatine, per alloggiarmi poi stremato e dolorante all’hotel Holidays, dove per 50 euro mi danno una stanza, cena e colazione.
Ora è da questa mattina alle 7,30 che sono in viaggio per recuperare la macchina. Trentaquattro chilometri lungo la strada diretta che mi richiedono tre trasbordi attraverso Castel di Sangro e Isernia, più un’ulteriore ora e un quarto di cammino. Il bus di mezzogiorno per Castelnuovo non c’è più e mi tocca attendere quello delle due e dieci. Qui non esiste neanche un tabellone con gli orari, nessuno sa niente: neanche in Sud America era così difficile viaggiare.
Se non ci saranno altri imprevisti, saranno nove ore di viaggio per recuperare la macchina.
P.S. La cara Parker era poi rimasta celata in una tasca della giacca.