Pescasseroli, 2 giugno 2014. Insomma, parliamoci chiaro: nel nostro paese, checché se ne dica, la natura non gode di grande considerazione. Sì, convegni, tavole rotonde, prodotti biologici, ma poi se non si trova un cestino, la bottiglia o la sigaretta finiscono per terra, se si tratta di usare i mezzi pubblici… domineddio ce ne scampi e i sentieri, almeno quelli appenninici rimangono sempre desolatamente vuoti.
Allora tocca a noi iniziare a cambiare le cose, con l'esempio, insegnando ai nostri pargoli non solo a rispettare (che questo viene dopo) ma ad amare apprezzare godere la natura, perché non si è disposti a difendere qualcosa che non si ama e che non si può vivere: con una notte sotto le stelle, una serata intorno al fuoco, una passeggiata nei boschi.
D'altronde un’antica massima sioux recitava: “Uomo, solo in prestito hai avuto la terra”. E in effetti non possiamo sciuparla che dobbiamo lasciarla a loro, magari meglio di come l'abbiamo trovata.
E così eccoci qui nella capitale del Parco, nonostante il meteo ostile, per tre giorni di immersione nell'esuberante natura marsicana. Come al solito le mie organizzazioni riscuotono successo e ho prenotato tutto l'ostello Volpe Rossa per la nostra nutrita combriccola che vede ben cinque famiglie (Ferrucci, Guzzo, Nacamulli, Sances, Scamponi), nove frugoletti (Bianca e Giulio, Elena e Francesco, Giulia e Flavia, Riccardo e Guglielmo e ovviamente Vittoria), un imbucato (Salvatore) e un cane (Soldatino).
Appuntamento a Roma, pochi incroci e già ci perdiamo di vista, ma lasciamo alla A25 il compito di ricompattarci, per volgere tosto le ruote al malinconico borgo di Pescina. Una passeggiata fra i diruti palazzi, reduci del grande terremoto della Marsica del 1915, e siamo alla tomba del diletto Silone, illustre figlio di questa contrada e che qui volle essere sepolto “ai piedi del vecchio campanile di San Bernardo” e con la “vista del Fucino in lontananza”.
Via ora verso Pescasseroli, dove prendiamo possesso del nostro accasermamento, facciamo la conoscenza con l'incontenibile Gerardo e presi da inarrestabile frenesia ce ne usciamo sotto la pioggia, non sapendo poi che fare fino all'ora di cena, quando ci rifugiamo da Vincenzo a Le Foci per una zuppa di orapi e altre schiette pietanze.
Sorge il sole, i cani abbaiano, le pecore brucano e arriva Emma, cioè Salvatore. Il tempo promette bene e ci avviamo lesti (si fa per dire) su verso Colle Santo Ianni da Villetta Barrea. I bimbi saltellano entusiasti a caccia di segni, qualche gnomo benevolo lascia caramelle e anche Giulio si dà da fare sulle sue gambette, mentre Francesco opta per una più rilassante escursione sulle spalle di papà Michele.
E mentre facciamo conoscere ai marmocchi la natura che tanto amiamo, ci accorgiamo che sono loro a farcela vedere con i loro occhi, a insegnarci qualcosa, perché, come scrive Paulo Coelho, “un bambino può insegnare sempre tre cose a un adulto: a essere contento senza motivo, a essere sempre occupato con qualche cosa e a pretendere con ogni sua forza quello che desidera”.
Dai 1.145 del panoramico cocuzzolo tutto il vasto e magico territorio della Camosciara si apre al nostro sguardo, chiuso dalle impervie pareti dello Sterpi d'Alto, del Balzo della Chiesa e dei Tre Mortari, mentre alle spalle ci sorvegliano severi il Marsicano, il Mattone e il Greco.
Iniziamo a scendere fra fango, ruscelli e guadi, divertendoci un mondo, grandi e piccini; e forse questo nostro tornare bambini con i bambini è l'altro valore aggiunto di queste passeggiate nei boschi: il recupero della dimensione del gioco che già Nietzsche aveva individuato quando scriveva che “la donna intende i bambini meglio di un uomo, ma l'uomo è più bambino della donna. Nell'uomo autentico si nasconde un bambino che vuol giocare”. Al che si narra che quando Konrad Lorenz riferì questa massima alla moglie, questa rispose: “E perché si nasconde?”. E io stesso, seguito sempre da una pattuglia di marmocchi, mi sento un novello Konrad Lorenz col corteo delle sue paperelle.
Elena ha un po' di temperatura, la spallo per un tratto, Vittoria si ingelosisce e alla fine siamo tutti a Colle Jajacque e di lì in breve a Civitella Alfedena, dove invadiamo il bar del paese, per birra, patatine, gelati e caffè. E come premio finale anche l'avvistamento dei lupi sullo sfondo turchino del Lago di Barrea.
La temperatura scende e alla sera facciamo andare camino e fornelli per pasta, salsicce e bistecche, e mentre il fuoco scoppietta e i bimbi giocano, la chitarra di Valerio ci spinge inesorabile fra le coltri.
Come tutte le più belle cose anche quest'avventura volge al termine e ci concediamo una partenza intelligente, riappropinquandoci a Roma con tappa ad Alba Fucens, la suggestiva città romana a mille metri di quota, alle pendici del Monte Velino. I bimbi saltellano e scorrazzano fra le antiche mura del teatro e del foro, che nell'immaginario di Riccardo e Guglielmo diventano un tortuoso labirinto.
È ora di volgere verso casa, stanchi, felici e forse anche un po' più bambini; e se qualcuno mai ci dirà che siamo rimasti bambini, gli risponderemo con Hemingway: "Avere un cuore da bambino non è una vergogna. E’ un onore. Un uomo deve comportarsi da uomo. Deve sempre combattere, preferibilmente e saggiamente, con le probabilità in suo favore, ma in caso di necessità deve combattere anche contro qualunque probabilità e senza preoccuparsi dell’esito. Deve seguire fin dove è possibile i propri usi e le proprie leggi tribali, e quando non può, deve accettare la punizione prevista da queste leggi. Ma non gli si deve dire come un rimprovero che ha conservato un cuore da bambino, un’onestà da bambino, una freschezza e una nobiltà da bambino“.