Monti Invisibili
071 Valle del Puzzillo
068 Valle del Puzzillo
064 Verso la Valle del Puzzillo
063 Rifugio Sebastiani
054 Colazione al Sebastiani
053 Alba dal Sebastiani
052 Alba dal Sebastiani
051 Alba dal Sebastiani
047 Alba dal Sebastiani
044 Alba dal Sebastiani
043 Alba dal Sebastiani
040 In camerata
037 In camerata
034 In camerata
031 Cena al rifugio
030 Cena al rifugio
026 Vita di rifugio
022 Ars fumatoria
021 Vallone di Teve
018 Valle dei Briganti
017 Salendo al Costone
016 Rifugio Sebastiani
012 Cavalli
011 Vittoria
009 Valle del Puzzillo
008 Valle del Puzzillo
005 Il Costone
002 Vecchia Miniera
001 Verso Rifugio Sebastiani
Rifugio Sebastiani, 3 e 4 ottobre 2015. Quanti rifugi sono passati da quella prima notte sul Monte Bianco ormai quasi un quarto di secolo or sono. Eppure è sempre la medesima emozione: il crearsi di una piccola comunità separata dal consesso civile e in grado di recuperare i rapporti umani, le gioie, i timori e anche un po’ di quella sana noia che va generalmente perduta nella quotidiana frenesia cittadina. Il tutto grazie a questo simbolo dell’epica montanara, piccola bolla di sicurezza in un mondo affascinante ma avvertito a volte, soprattutto la notte, come ostile.
Forse è proprio questo il significato vero del rifugio alpino (anche se qui siamo in Appennino), come l’ha definito Carlo Alberto Pinelli: la conquista della notte, momento ulteriore per vivere la natura e la montagna a dispetto della nostra ancestrale paura del buio, nella sua dimensione più irrazionale e assoluta.
E per l’appunto la notte in rifugio era quella che mancava nel novero delle avventure delle nostre giovani marmotte. Siamo così la bellezza di dieci adulti e otto bimbi quando con il sole alto nel cielo (si fa per dire) c'incamminiamo dalla vecchia miniera di bauxite in un mondo che abbandona sommesso l’abito estivo per vestire quello autunnale.
L’agile carrareccia ci insinua nel bosco mentre i pargoli sciamano, cercano bastoni e farfalle, si cura un primo caduto e c’è già chi promette che non camminerà più in vita sua. Sotto un cielo popolato di nembi l’assortito drappello si fa strada ora in una brughiera dai toni caldi e rugginosi, dominata dalla poderosa muraglia del Costone.
All’arido fontanile lasciamo la retta via lungo la più breve e impervia deviazione per l’ormai visibile rifugio. Alcuni bimbi simulano malori, altri sgambettano felici e le spalle di Carlo e Michele urlano sotto il peso dei due piccoli Francesco.
Finalmente ecco il tetto rosso del Sebastiani che ci accoglie nella persona dell’esuberante e paziente Raffaella, abbastanza atterrita dalla nostra nutrita e schiamazzante comitiva. Mentre gli invasori s’impossessano di ogni recesso del rifugio, con Michele e Fabiana affrontiamo una rapida sortita ai 2.271 metri dell’orientale del Costone per un breve anello che ci lancia sul profondo Vallone di Teve e sul signore di queste aspre giogaie: sua maestà il Velino.
L’aria si fa fredda negli aromatici sentori di pipa e toscani, poi nella flebile luce delle mura di pietra ci si rilassa fra una tazza di tisana e una fetta di crostata, giuochi da tavola e di carte, racconti di altre avventure, mentre l’imbacuccata Marzia e l’astronauta Francesca tremano per un immaginario freddo.
Qualche bimbo crolla anzitempo e con le palpebre cascanti giunge l’ora della cena. Amatriciana, zuppa di fagioli, salsicce, arista, vino e crostate ci accompagnano fra le coltri: il grosso in mansarda, io e Michele sul duro tavolaccio del pian terreno, grazie al caratteraccio di un tal Alvaro, con la compagna unico altro avventore del rifugio.
E finalmente nella montagna stellata torna il silenzio.
Sono le sei, il chiarore mi chiama fuori dal sacco per l’ennesima alba dal Sebastiani, insieme ai bimbi coraggiosi Ludovica ed Emanuele. Nell’aria gelida striature porporine solcano le nubi, i contorni delle vette si fanno evidenti, improvviso come una vampa esce il carro e avvolge il nostro mondo di quota di fuoco e di calore. “È stata la cosa più bella della mia vita” si fa uscire emozionato Emanuele.
Con le facce ciancicate, la colazione scalda i corpi e gli animi e, raccolte le tante carabattole, lasciamo di nuovo il rifugio al suo temporaneo silenzio.
In una brughiera scozzese pressata sotto un tetto di nembi scendiamo placidi lungo la retta via, sotto lo sguardo indifferente delle grandi montagne.