Monte Velino, 31 agosto 2013. Rieccomi a casa! Dopo due anni di cammino per vette e per valli sono tornato alla familiare croce del Velino, alla quale tante volte sono corsi i miei pensieri durante questa stagione di vagabondaggi su sentieri sconosciuti.
E ora che l’ho finito, che dire di questo invisibile Appennino, divenuto al mio sguardo trasparente? Avendolo percorso con fatica lungo sentieri remoti e percorsi dimenticati, lo percepisco adesso limpido e accessibile fino alla sua anima, che risplende e riflette ormai la mia.
Ma quale è l'essenza di queste montagne? quale la loro forza, la loro energia? Forse quella che emerge dalle loro peculiarità, da quei caratteri tipici che rendono i diversi gruppi una sorta di universo, libero e distinto dai suoi fratelli. Essenza la cui sintesi si può trovare in ogni vetta più bella, non necessariamente la più elevata, ma quella che meglio racchiude e spiega i singoli caratteri.
E vediamole allora queste montagne.
Sopra tutte, per ragioni di altezza, c'è il Gran Sasso. Il re dell'Appennino è un monumento alla biodiversità che più fa respirare quei sentori alpini altrimenti rari da percepire sulle nostre montagne. Ma credo che la sua vetta più bella non siano i 2.912 metri dell'affollato Corno Grande, bensì i 2.623 del Monte Corvo, cima elegante, possente, solitaria, selvaggia, che richiede lunghe ore di cammino per ammettere alla sua croce, dove si apre una vista inconsueta sulle vette del gruppo centrale.
In coabitazione nello stesso parco ecco la Laga, e come scrissi una volta "…Gran Sasso e Laga stanno insieme per buon vicinato, tanto sono diversi per storia geologica e ambiente naturale: calcare arido con aspre vette l'uno, marne e arenarie gravide d'acqua l'altro". E l'acqua e il verde la fanno da padrone in questo ambiente dai ripidi fossi e dalle panoramiche linee di cresta, dove la scarsità dei sentieri regala forse l'ultima vera wilderness delle nostre montagne. Anche qui la vetta più affascinante è per me non la più elevata, ma i 2.419 metri del Pizzo di Sevo, forma triangolare che sembra il disegno di un bimbo e che lascia libero lo sguardo di librarsi verso tutta la cresta della catena e sul vicino Monte Vettore.
Se il Gran Sasso è il re, la Majella è la sua regina. La montagna madre, come è nomata in Abruzzo, grazie alla sua estensione e alla vasta zona di altipiani di quota, regala sensazioni di assoluto isolamento in un ambiente lunare. Tante anche qui le splendide cime, ma sicuramente la preferita non appartiene neanche specificamente alla Majella, bensì al limitrofo gruppo del Morrone, con la sua isolata vetta omonima, eccezionale belvedere sulla protettiva madre.
E che dire dei confinanti Marsicani, all'interno, ma non solo, del più antico parco appenninico? Rilievi non eccelsi, è vero, nonostante siano un'enormità quelli che superano la fatidica quota duemila; e spesso tanto scarsamente caratterizzati, che si fa fatica a discernerli dagli altri gruppi. Però l’incanto del parco, insieme alla sue valli boscose e alla presenza degli animali, che qui è più facile incontrare che non altrove, è tale che si torna sempre con gioia a farsi avvolgere fra le sue membra. Fra le tante vette, i 2.242 metri de La Meta sono anche per la posizione i più affascinanti: montagna cerniera che si rilega con le remote Mainarde e che sale dal Lazio per precipitare sul Molise e sull'Abruzzo verso una delle aree più selvagge del parco.
Prossimi ai Marsicani per geografia e ambienti, ecco i Simbruini e i limitrofi gruppi degli Ernici e dei Càntari. Forse non sono le vette il pezzo forte di questo parco regionale, bensì le sue sconfinate faggete, gli ampi pianori carsici e una ricchezza d'acque sorgive che lo rende una delle prime riserve idriche della Capitale: tant'è che lo stesso nome deriva dal latino "sub imbribus", sotto le piogge. E secondo me la sommità più affascinante di questo territorio non è neanche un duemila, ma i 1.961 metri di Monte Tarino, con il bel sentiero che parte dalle fresche sorgenti dell'Aniene per attraversare alte e ombrose faggete fino alla rocciosa cresta che reca alla cima, panoramico palco sul Fucino e sul Velino.
Continuando nel nostro cammino ci dirigiamo a nord e incontriamo i Sibillini, montagne ripide e imponenti con creste erbose lunghe e affilate, disposte prevalentemente lungo la direttrice nord-sud. Giogaie magiche e misteriose, regno di demoni, negromanti e fattucchiere, come testimoniano la Grotta della Sibilla e il Lago di Pilato. E in sintonia con il loro sentore magico, il Pizzo del Diavolo, sperone roccioso alto sul lago, è la vetta più suggestiva del massiccio.
Non lontani in linea d'aria ecco i Reatini, dei quali il Terminillo è l'esponente più noto. Rilievi circoscritti in un territorio pesantemente aggredito dall'uomo e sui cui sentieri è difficile avvertire il tanto necessario afflato di wilderness. Tranne forse sui sentieri orientali, dove la bella elevazione del Monte di Cambio realizza un ampio balcone dal Vettore alla Laga al Gran Sasso.
Molto più a nord si arriva all'Appennino Tosco Emiliano, un boscoso gruppo di vette di arenaria che stupisce per la varietà degli ambienti ma anche per l'organizzazione del suo parco nazionale, così diverso da quelli dell'Appennino centrale: con sentieri ben segnati e tracciati, percorsi da torme di camminatori. Il duemila più tipico? Sicuramente l'Alpe di Succiso, vetta isolata che regala sensazioni di vera montagna nel suo affilato percorso terminale.
Camminando invece verso sud, fuori dai nostri percorsi abituali, si giunge al Matese, massiccio poco esteso e anche lui gravemente deturpato, ma dalle belle forme, soprattutto nella sua vetta appena sotto i duemila, La Gallinola: una lunga elegante dorsale rocciosa costellata di pianori carsici con vista sul Lago del Matese.
Molti chilometri ancora verso sud il Pollino e il vicino Sirino, vette impervie, solitarie e maestose a cavallo di Basilicata e Calabria. Rari i sentieri, lunghe le percorrenze, oscuri e profondi i boschi che si affacciano su immensi pascoli di quota, attorniati di vette dove relitti arborei loricati si aggrappano con vista estrema sull'azzurro dello Jonio. Simili e bellissime le due serre, delle Ciavole e di Crispo, lunghi balconi rocciosi costellati di pini loricati in un paesaggio lontano nel tempo e nello spazio.
E ultimo ma non ultimo, ecco l'amato Velino Sirente, montagne calcate ormai un tutte le direzioni e che sorgono in un territorio ampio e sconfinato dove facile è perdersi e sentirsi finalmente soli. Pur amando molte vette di questo complesso – dal'alpino Sirente all'aspro Muro Lungo – è proprio il triangolare Monte Velino la vetta preferita, con le sue lunghe o ripide vie di avvicinamento e accesso che permettono di attraversare e conoscere tutti gli aspetti di questo splendido territorio.
Territorio che alla fine racchiude tutti i caratteri di questi stupefacenti monti appenninici, ai quali trovo attribuibili le parole che Anne Macdonell scrisse, ormai oltre cento anni fa, proprio a proposito del Velino: “Quando si attraversano i suoi confini irregolari, l’uomo ritrova se stesso appena ha superato la prima delle numerose difese naturali che l’Abruzzo oppone alla vita moderna. Se ti addentri appena un po’, dai pendii piuÌ€ alti delle tre piramidi del Monte Velino scorgerai la meraviglia di questa Terra ed il terrore che nello stesso tempo essa suscita: catene di montagne che si susseguono e una barriera dopo l’altra isolano valli da altre valli e rendono estranea l’una all’altra, la gente degli altopiani e delle pianure”.
Sotto la grande croce del Velino, insieme ad alcuni dei miei compagni di questi lunghi anni di cammino
Nelle escursioni, come nella vita, con un vero amico puoi condividere sia le chiacchierate che i silenzi. Grazie per aver condiviso insieme le une e gli altri.
Con virile affetto
Andrea Santacesaria
Per me è un onore essere qui sul Velino, la tua vetta prediletta, a celebrare questo prestigioso, faticoso e appagante traguardo: tutte le vette over 2000 dell’Appennino. Ancor più onorato di aver conosciuto l’escursionista, ma soprattutto l’uomo.
Con affetto
Alessandro Caira
La mia prima volta sul Velino non poteva essere migliore battesimo avendo compagno d’escursione il grande Marco Sances, esperto appenninista che associa alla competenza una grande dose di simpatia, tali da rendere la salita sul Velino una passeggiata. Grazie Marco per questa giornata stupenda e mi auguro che si possa ripetere in un breve futuro.
Con stima e simpatia
Renato Vitti
Le nostre strade si sono incrociate e unite in amicizia lungo i sentieri della comune passione per la montagna. So quanto è importante il risultato raggiunto, frutto di autentica passione. Sono fiero di avervi partecipato, raggiungendo insieme tante di queste care vette.
Con stima e affetto
Andrea Doddi