Monti Invisibili
Monte Amaro
Quota 2.793 m
Data 24 luglio 2021
Sentiero parzialmente segnato
Dislivello 2.037 m
Distanza 30,78 km
Tempo totale 14:30 h
Tempo di marcia 12:29 h
Cartografia Il Lupo Majella
Descrizione Dal Km 26+200 della Strada Statale Frentana per la Macchia di Taranta, il Rifugio Macchia di Taranta (1.703 m, +2,27 h), Grotta Canosa (2.604 m, +3,22 h) e Monte Amaro (2.793 m, +55 min., 7,25 h dalla partenza). Ritorno sulle tracce del dismesso sentiero 10 per Grotta Canosa, Piano Amaro, la Valle dei Fontanili, il Rifugio Fonte Tarì (1.540 m, +3,38 h), Lama dei Peligni (740 m, +1,24 h) e la macchina (+43 min.). Faticosa escursione in ambiente grandioso, solitario e selvaggio. Salita per la Macchia di Taranta molto ripida; poi molto faticosa. Discesa altrettanto faticosa e ripida per lo più senza alcuna traccia: provare a tenersi di più verso la Valle di Taranta. Avvistati un camoscio e alcuni falchi.
044 Lama dei Peligni
042 Valle dei Fontanili
041 Valle dei Fontanili
040 Verso la Valle dei Fontanili
039 Piano Amaro
038 Piano Amaro
037 Piano Amaro
036 Piano Amaro
035 Piano Amaro
034 Piano Amaro
033 Altopiano della Majella
032 Altopiano della Majella
031 Altopiano della Majella
030 Altopiano della Majella
029 Bivacco Pelino
028 Bivacco Pelino
027 Bivacco Pelino
026 Bivacco Pelino
025 Monti Sant'Angelo e Acquaviva
024 Bivacco Pelino
023 Monte Amaro
022 Stelle alpine
021 Verso Monte Amaro
020 Grotta Canosa
019 Verso Grotta Canosa
018 Verso Grotta Canosa
017 Altopiano della Majella
016 Altopiano della Majella
015 Altopiano della Majella
013 Altopiano della Majella
012 Valle di Taranta
011 Valle di Taranta
010 Valle di Taranta
009 Rifugio Macchia di Taranta
008 Verso l'altopiano della Majella
007 Rifugio Macchia di Taranta
006 Rifugio Macchia di Taranta
005 Rifugio Macchia di Taranta
004 Macchia di Taranta
003 Macchia di Taranta
002 Macchia di Taranta
001 SS 84 Km 26+200
Monte Amaro, 24 luglio 2021. Quando il mio senno salpa per altri lidi, allora è il momento di partire per andarlo a recuperare:.. sulla luna.
E la luna vicino casa – si fa per dire, che son tre ore di automobile – è sicuramente la Majella: questo calcinato altopiano calcareo dai toni cangianti, dove marciare alla ricerca di quello che non trovi. Come la luna dell’Orlando Furioso la Majella diviene il simbolo di quello che la vita quotidiana non è: sulla Majella non c’è pazzia perché quella sta sulla terra, sulla luna è pieno di senno perché nella vita ce n’è poco. E nella fatica e nello stupore di ambienti inusuali e sconfinati, pian piano le ansie spariscono, l’animo si acquieta e in un ciuffo di stelle alpine, negli occhi di un camoscio, nell’anfratto di una grotta o nelle stille di una fonte, puoi ritrovare l’ampolla col tuo senno perduto.
Allora, cinque litri d’acqua nello zaino e alle 4,30 sono sul mio ippogrifo alla volta della Valle di Taranta. Un segnale ci ammonisce subito delle micidiali percorrenze e con Astolfo-Enrico tralasciamo l’inciso vallone per addentare l’omonima Macchia, su un sentiero che non fa sconti e che la torrida giornata rende simile al tolemaico cerchio di fuoco che separa la terra dalla luna.
Ai 1.700 metri usciamo sulle assolate prode del Rifugio di Macchia Taranta: la Valle dell’Aventino è una conca lattiginosa dopo traspaiono i Monti Frentani e noi troviamo delle inaspettate taniche per una doccia di acqua gelata.
Riprendiamo un cammino infinito che si affaccia ora sulle ardite costruzioni rocciose della Valle di Taranta. Ogni tanto un refolo fresco ci annuncia falsamente l’arrivo sull’altopiano, ma è sempre una successione di orizzonti interrotti e dobbiamo attendere i 2.400 metri per scavalcare l’ultimo gradino.
Ed eccolo il regno de la luna, infinito e colorato, sotto un cielo di cobalto, terra inusuale per la più parte come un acciar che non ha macchia alcuna.
Marciamo senza direzione, senza intravedere una meta; ma non importa, tanto grande è ogni volta lo stupore per questa sudata meraviglia. Il dolce acciottolio delle pietre frantumate dagli elementi è musica per le orecchie; stelle alpine e cuscini di silene accompagnano lo sguardo ininterrotto e finalmente ecco il puntino arancione del Bivacco Pelino, ancora a oltre un’ora di cammino.
La stanchezza inizia a macerare le membra e come al solito non ho la volontà per la breve deviazione verso la Grotta Canosa. Gli ultimi passi in salita e finalmente, dopo oltre sette ore di cammino, una piccola folla ci accoglie sotto un cielo immobile ai 2.793 metri della vetta.
Quattro chiacchiere con una pattuglia di Carabinieri forestali e ci fermiamo ad ammirare una sorpresa sempre nuova: non esiste spettacolo pari in Europa.
Ma il sole segna già le sedici e il cammino è ancora lungo. Con le ombre che si slanciano sotto i nostri passi percorriamo di nuovo l’altopiano sulle orme del dismesso Sentiero 10 del parco. Ogni tanto una traccia, un raro ometto, uno sbiadito segnale: poi nulla e il gps dura fatica a indicarci la via.
Quasi due ore per iniziare finalmente a scendere con decisione; caliamo nella Valle dall’immeritato nome dei Fontanili, risaliamo, agguantiamo tracce che subito perdiamo. Forse era necessario tenersi più sul bordo della Valle di Taranta.
Ma finalmente siamo alla deviazione per la Grotta del Cavallone. Sono le venti e abbiamo ancora mille metri da scendere: urge una decisione. Calare per la dirupata traccia della Taranta o deviare per il più lungo ma forse agevole sentiero per il Rifugio Fonte Tarì e Lama dei Peligni? Il richiamo dell’acqua è più forte.
Ci laviamo, beviamo a volontà il nettare cristallino e alcuni ospiti del rifugio ci offrono anche birra e pizza rustica.
Ma è ancora lunga, con le gambe come tronchi e la notte che ci coglie sulle luci del lontano paese. Armiamo le torce, arriviamo alla strada, tre chilometri di asfalto che sembrano i trenta che abbiamo già percorso.
Alle 22,30 ecco il mio nero ippogrifo, pronto a riportarci alle due della notte in una Roma deserta, con il senno ormai ben stretto nello zaino.
O forse no?