Monti Invisibili
Anello degli Eremi o Sentiero Celeste
Quota 1.536 m
Data 26 novembre 2016
Sentiero segnato
Dislivello 1.470 m
Distanza 27,71 km
Tempo totale 9:13 h
Tempo di marcia 7:39 h
Cartografia Il Lupo Majella
Descrizione Da Decontra (810 m) per i Tholos della Valle Giumentina (742 m, +32 min.), l’Eremo di San Bartolomeo di Legio (652 m, +38 min.), la Macchia di Abbateggio, l’Eremo di Santo Spirito (1.132 m, +2,33 h), Pianagrande (1.500 m, +1,34 h), l’Eremo di San Giovanni (1.227 m, +32 min.), Pianagrande (+27 min.) e Decontra (+1,23 h). Tratti leggermente esposti verso e dopo l’Eremo di San Giovanni, il cui anello è consigliabile comunque in senso antiorario (prima sentiero basso e poi alto). Avvistato un branco di cervi a Decontra.
Per accedere alla Valle dell’Orfento e all’Eremo di San Giovanni è necessario ritirare, anche via mail, l’autorizzazione gratuita presso il Centro di visita di Caramanico Terme: tel. 085 922343, info@majambiente.it.
Eremi della Majella, 26 novembre 2016. “La Maiella è il Libano di noi abruzzesi. I suoi contrafforti le sue grotte i suoi valichi sono carichi di memorie. Negli stessi luoghi dove un tempo, come in una Tebaide, vissero innumerevoli eremiti, in epoca più recente sono stati nascosti centinaia e centinaia di fuorilegge, di prigionieri di guerra evasi, di partigiani, assistiti da gran parte della popolazione”.
Un montagna viva, dunque, della quale siamo andati oggi alla scoperta con Alessandro e Vincenzo, rilegando in un lungo anello tre degli eremi medievali dove intorno all’anno 1260 dimorò Pietro da Morrone, futuro Celestino V, il papa del dantesco Gran Rifiuto, raccontato proprio da Ignazio Silone ne L’avventura di un povero cristiano.
Un perplesso branco di cervi sorveglia il nostro ingresso in una Decontra immobile nel gelo dell’alba e tosto siamo in marcia in una pallida contrada, dove spuntano candide le vette della Majella.
Il sole riverbera appena sulle coste del Morrone quando giungiamo al solitario gruppo dei Tholos della Valle Giumentina, ricoveri pastorali, nati dalla pietra, che raccontano una storia di fatica e stenti nel legame con una natura che invece ora noi allieta. Ci aggiriamo a lungo fra questi trulli d’Abruzzo, con il Gran Sasso che splende innevato nell’aria limpida e il mare Adriatico che luccica lontano.
La carrareccia ci scorta fra altri tholos, ormai solo cumuli di pietre; un bivio e su un sentiero scivoloso caliamo verso il roccioso Vallone di San Bartolomeo, il cui omonimo eremo già ci osserva incastonato nella scogliera.
Un grande masso squadrato funge da ponte naturale e saliamo verso il romitorio, edificato nelle strapiombati volte di una cengia rocciosa. C’introduciamo con rispetto in un luogo dalla profonda misticità che richiama il riposo e la contemplazione di questa natura primitiva e vera che ci circonda.
Mentre il sole giunge finalmente a scaldare le nostre membra, riprendiamo il cammino sulle tracce di Celestino, lungo gli stessi millenari sentieri seguiti nei secoli da monaci, pastori e viandanti.
La fangosa carrareccia viene presto inglobata nella grande e ombrosa Macchia di Abbateggio, trasformandosi in un croccante tappeto di foglie in un bosco nudo. Procediamo in una sorta di labirinto dalle infinite bianche colonne, mentre un sole obliquo allunga sui nostri passi il reticolo di ombre dei faggi scheletrici. Costeggiamo alte onde erosive e sfioriamo pareti traforate di grotte, le cui mura richiamano memorie di antichi stazzi; fra gli alberi già risplendono abbaglianti le slanciate falesie del Fosso di Santo Spirito.
Una breve ripidissima asfaltata ed ecco l’Eremo di Santo Spirito, articolato complesso a ridosso di una parete rocciosa, costellata di iscrizioni votive incise nella tenera pietra. Il sordo martellare di un operaio ci guida all’interno del monastero, fra mura, archi e corridoi schiacciati sotto la montagna.
Un tè e qualche nocciola rinfrancano l’animo e il corpo e costeggiando un torrente crepitante ci avviamo per la lunga e ripida salita verso la Pianagrande, passando repentini dal luminoso autunno delle coste meridionali al grigio inverno di questo settentrionale vallone.
Dai 1.500 metri di Pianagrande un agile sentiero affronta i bordi dell’ampia Valle dell’Orfento, su materassi di foglie che rendono morbido ed elastico il passo. Il cammino si fa cengia esposta, con la possente valle che precipita maestosa sotto i candidi Focalone, Rotondo e Pescofalcone, e si lancia lontana e selvaggia sotto di noi.
Lo stupore è assoluto quando giungiamo all’impervio Eremo di San Giovanni, alto e incassato nella parete rocciosa.
Una aerea scala è scavata nella roccia, diviene audace cengia e nell’ultimo esposto tratto obbliga a strisciare sui quaranta centimetri di una balza protesa nel vuoto. Per un breve tratto un terzo del corpo è fuori sul dirupo, ma la sensazione è che sia metà. Siamo dentro; tre angusti locali, un altare, poche nicchie, un ingegnoso impianto per la raccolta dell’acqua piovana e la grandiosa Valle dell’Orfento come fondale: il rifugio perfetto per il raccoglimento e la contemplazione.
La Majella è incredibile, allarga il cuore, fa luccicare gli occhi.
Salutiamo l’ostica dimora e con un ardito scaleo nella roccia, con tanto di scavate maniglie, andiamo a chiudere l’anello con Pianagrande.
Fra stoppie pettinate dal vento, in un cielo di nembi arrossato dall’ora, ci avviamo sommessi sull’ampia e panoramica dorsale di Pratedònica, regno pastorale di tholos diruti, lunghi muretti a secco e grandi stazzi.
E con le prime luci della sera un solitario abbaiare ci conduce di nuovo al paese, con gli occhi e l’anima ricolmi delle meraviglie di questa lunga giornata di cammino.