118 Kilimanjaro certificato
117 022 Mandara Gate
117 021 Mandara Hut
117 012 Gillman's Point
117 005 Uhuru Peak
117 003 Uhuru Peak
116 037 Uhuru Peak
116 035 Uhuru Peak
116 034 Verso Gillman's Point Hans Meyer Cave
116 018 Kibo Hut
116 008 Verso Kibo
115 040 Verso Kibo
115 024 Kilimanjaro sella Kibo
115 019 La Sella Kibo
115 017 Verso la Sella Mawenzi
115 009 Verso la Sella
115 003 Verso la Sella Mawenzi
114 028 Horombo seneci
114 021 Horombo Hut Kibo
114 017 Horombo Hut
113 039 Horombo Hut
113 015 Verso Horombo Ebrahim e Basil
113 011 Verso Horombo
113 004 Mandara Hut
112 030 Mandara Hut alba
112 019 Mt Mawenzi
111 036 Marangu Gate
Monte Kilimanjaro, 28 gennaio – 6 febbraio 2000
Dal diario di viaggio
Horombo Hut, 3 febbraio 2000. Il Kilimanjaro è stato posseduto questa mattina alle 6,45 dopo lunga e faticosa salita.
Dopo appena tre ore di sonno, alle 0,10 partiamo per conquistare la grande montagna. La temperatura esterna è di -7° e il primo stupore è per la costellazione del Grande Carro adagiata sull’orizzonte. Attacchiamo il sentiero fra enormi blocchi di lava mentre i nostri passi sono guidati dall’incerta luce delle torce frontali. A 5.150 metri sostiamo nella Hans Meyer Cave, la grotta dove il 10 ottobre del 1889 si fermò a riposare il primo scalatore: ora siamo pronti per attaccare il tratto più faticoso.
La salita sulle ripide ghiaie vulcaniche si rivela subito massacrante e dopo un paio d’ore Ebrahim accusa un forte mal di montagna: convintolo a rientrare alla base proseguiamo con Basil. Siamo stanchi, ma non troppo da non stupirci della luna araba che sorge insieme a Venere proprio dietro al Mawenzi.
Alle 5,20 raggiungiamo i 5.665 metri di Gillman’s Point sull’orlo del cratere: il più è fatto. Roberto, Plinio e Marco, ognuno con problemi di fatica o di quota più o meno accentuati, si attestano lì e io proseguo per la vetta aggregandomi a un altro gruppo. Tiro con i denti ogni singolo passo dei 230 metri di dislivello che mancano, ora su una neve dura e gelata ora su rocce. L’alba mi coglie sugli ultimi passi e finalmente alle 6,45 arrivo ai 5.895 di Uhuru Peak (Picco della Libertà): la vetta più alta del Kilimanjaro.
A -12° di temperatura la stanchezza è tanta, la voglia di fotografare poca, la gioia immensa. Mi fermo nel silenzio ad ammirare lo spettacolo che mi circonda: la vasta caldera dell’antico vulcano con i suoi bastioni di ghiaccio bianco e azzurro sotto un cielo d’acciaio; le nuvole sotto di me e l’Africa che si scorge oltre cinque chilometri più in basso; le forme tormentate dei 5.150 metri del Mawenzi da quassù sono poco più di un monticello e a nord un ammasso di nubi indica la presenza del monte Kenya, fratello del gigante. E’ stata l’escursione più dura della mia vita, ma ne è valsa la pena.
Il ritorno sulle ripide ghiaie dell’andata è velocissimo: appena due ore e mezzo nonostante la stanchezza e le gambe doloranti. Poi da Kibo ci lanciamo verso Horombo incontrando nell’ordine: neve, grandine, pioggia. Abbiamo buona parte dell’attrezzatura fradicia e la nostra capanna sembra il retro di una lavanderia cinese.
Ora siamo veramente sporchi e puzzolenti, a cinque giorni dall’ultima doccia e avendo svolto attività non esattamente pulite. Chissà come sono bello con i capelli arruffati, le occhiaie, gli occhi rossi, la barba, l’abbronzatura, lo sporco?! Domani ci aspetta l’ultimo tratto per Marangu via Mandara e domani sera in albergo finalmente ci potremo lavare e guardare allo specchio.
Oggi sono state 10 ore complessive di cammino, 962 metri in salita e 2.172 in discesa: mi sento molto soddisfatto e questa sera mi carico una pipa sotto l’immensa volta stellata che sembra poggiata sulla grande montagna. Asante (grazie) Kilimanjaro.