Monti Invisibili

Monte Petroso 

Quota 2.249 m

Data 30 novembre 2011

Sentiero parzialmente segnato

Dislivello 1.769 m

Distanza 26,17 km

Tempo totale 11:56 h

Tempo di marcia 11:17 h

Cartografia Il Lupo Parco Nazionale d'Abruzzo

Descrizione Da Prato di Mezzo (1.430 m, ore 7) per il vallone della Meta, il bivio di quota 1.829 per il sentiero N3 (+51 min.), Pratolungo, Cavallaro, il passo di quota 2.118 (+1,48 h), monte Altare (2.174 m, +10 min.), monte Petroso meridionale (2.170 m, +38 min.), monte Petroso (2.249 m, +47 min.), monte Petroso settentrionale (2.171 m, +21 min.), monte Iamiccio (2.074 m, +1,41 h), valle Cupella, Biscurri, il passo dei Monaci (1.968 m, +3,42 h) e Prato di Mezzo (+1,19 h). Avvistata una volpe sulla strada per Prato di Mezzo, un’aquila sotto monte Altare e una sotto il Petroso meridionale, una decina di pernici, camosci ovunque e soprattutto numerosi branchi sui tre Petroso, sullo Iamiccio e sotto la Meta. Giornata calda e serena. Ritorno alla macchina a notte fonda.

06 monte petroso log

Traccia GPS

07 monte petroso dislivello
07 monte petroso dislivello

026 Zona Biscurri

026zonabiscurri

025 Monte Marsicano

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024 Lago di Barrea

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023 Da monte Petroso settentrionale

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021 Camosci

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020 Camosci

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019 Camosci

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016 Monte Petroso me

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015 Monte Petroso

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014 Camosci

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013 Monte Petroso meridionale

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011 Monte Petroso meridionale

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009 Camosci

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008 Camosci

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006 Camosci

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004 Monte Altare

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003 Monte Bellaveduta

003montebellaveduta

002 Pendici Bellaveduta

Monte Petroso, 30 novembre 2011. Una scarpinata solitaria è un’esperienza intensa, profonda, impegnativa, assolutamente non paragonabile al cammino che si compie in compagnia di un amico gradito. Freya Stark sosteneva che bisogna essere soli per viaggiare: se si va con gli altri, tutto finisce in parole. Pur non essendo così radicale, e avvertendo negli ultimi tempi la nostalgia per la condivisione con un compagno di sentiero, devo riconoscere che affrontare da soli territori sconosciuti è un’avventura profondamente interiore, incentrata sulla muta contemplazione dei luoghi, sull’intima meraviglia e sulla riflessione personale.
Sicuramente partire da soli richiede maggiore energia. Già mettersi in movimento, decidere e organizzarsi è un processo che esige determinazione, per contrastare forze avverse che ti vorrebbero fermo: il lavoro, la famiglia, il tuo stato d’animo; un percorso di concentrazione che si svolge nei giorni precedenti e che porta infine a essere carichi e pronti a partire. E durante il cammino, difficoltà e decisioni dovranno essere risolte in completa autonomia mentale.
Questo per dire che anche questa volta è stata una scarpinata solitaria che ha richiesto molta energia, più di quanta preventivata. Complice un previsto peggioramento del tempo e l’atteso arrivo dell’inverno dopo una lunga stagione autunnale, questa si presentava come l’ultima occasione dell’anno per un’incursione sul monte Petroso, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo e nel profondo della riserva integrale, confidando in un giorno feriale e in un lungo e inusuale percorso di avvicinamento dal Lazio per non incappare nei guardiaparco.
Sono così appena le 7 quando mi metto in cammino dai 1.430 metri di Prato di Mezzo, dove dormii cinque mesi fa durante la stupefacente traversata delle Mainarde. Nelle brume del mattino risalgo il vallone della Meta, in una stagione che rende remoto il rigoglio dell’altra passeggiata. Gli scarponi macinano lesti il sentiero, mentre un camoscio mi scruta dalla cima del Tartaro e un’aquila solitaria mi da il benvenuto ai 2.174 metri dell’Altare, dopo tre ore scarse di cammino. Alla mia sinistra il Bellaveduta si erge come un vascello su boschi rugginosi che dominano l’incassata val Canneto; di fronte a me la mole dei tre Petroso, cui rinunciai cinque mesi fa.
Afferro il binocolo: nessun umano in vista, solo una miriade di camosci. E’ tempo di affrontare la parte più difficile dell'impresa. Mi calo cauto su una crestina rocciosa, resa infida da un sottile strato di neve ghiacciata, e inizia una lotta con le pietre che durerà tutta la giornata. Con i camosci che fischiano risalgo con difficoltà il ripido pendio di erba e rocce e sono già sui 2.170 metri del Petroso meridionale. Ma non c’è tempo da perdere. Scendo con prudenza su neve, pietre, erba. Una sella. Si risale dall’altra parte. Camosci ovunque. Un’altra aquila. Ecco il vero Petroso: 2.249 metri. Una rapida sosta per rifocillarsi, ma le giornate sono brevi ed è già mezzogiorno. Ancora crestine rocciose, neve gelata. Sta maturando l’idea di non riaffrontare questi tratti al ritorno. Ecco i 2.171 metri del Petroso settentrionale, anche questo regno di camosci. L'altra volta feci bene a rinunciare al Petroso: non ce l’avrei fatta.
Decido di scendere verso forca Resuni, allungando il percorso, ma evitando di calcare nuovamente quegli infidi pendii. Pietre, pietre e ancora pietre: instabili, spigolose, taglienti, ricoperte di neve gelata. Spezzano in passo e l’equilibrio. Sono sotto l’orrida, buia e gelata parete orientale del Petroso, proprio alla sella sotto i 2.074 metri dello Iamiccio. Assurdo non approfittarne ed ecco un altro duemila nel carniere, mentre sotto di me si stende Barrea con il suo lago e in lontananza occhieggia la Majella. Sono le due del pomeriggio. Ancora tre ore scarse di luce: tornare col buio è ormai una certezza, sono molto stanco e con la borraccia inaspettatamente a secco in questa calda giornata di fine novembre.
Mi calo nella placida valle Cupella e attacco lento la salita che dovrebbe ricondurmi alla cresta sotto l’Altare. Improvvisamente mi sembra di riconoscere il versante orientale della Meta e decido di volgere direttamente verso il passo dei Monaci. Il Gps mi conferma in questa errata convinzione, la carta anche, solo le distanze sembrano non tornare, e infatti è uno sperone del Tartaro: la Meta è in quella direzione, ma tre chilometri oltre.
Inizia così un lungo cammino, in ambiente grandioso, solitario e selvaggio, dominato dai ripidi fianchi scoscesi delle montagne che si alzano ripidi su placide pianure alluvionali incorniciate dai boschi. Camosci mi osservano dalle lontane creste, altri si abbeverano dai numerosi laghetti e io mi sento piccolo e solo, immerso in quel selvaggio da tanto tempo anelato.
Mentre le ombre si fanno lunghe, mi accorgo del mio errore, ma non c’è altra scelta che andare avanti, comunque verso la macchina. Affronto tratti di infinite pietraie; ho voluto sfidare il Petroso e questo è quanto mi spetta: pietre. Salgo e scendo in un infinito senza fine di fatica, stupore e meraviglia.
Il sole si appoggia sulle creste e l'ultima porpora dipinge il blu quando mi affaccio sul piano di Biscurri; pochi passi per i 2.007 metri di un duemila che presto sarà in elenco, ma non ce la posso fare: sarà l'occasione per tornare in questa stupenda e isolata plaga del parco.
All’incerta luce del crepuscolo che si fa notte mi lancio in un continuo saliscendi su costoloni rocciosi; ombre di camosci mi scrutano nell’oscurità e sono finalmente le 17 quando col buio giungo al sospirato passo dei Monaci. L'incerta luce della torcia guida adesso i miei pesanti passi per un’ultima ora di cammino lungo il vallone della Meta che dovrebbe essere noto e invece appare nella notte sconosciuto. Sono infine dodici le ore di cammino quando riapprodo stremato e soddisfatto alle note ombre di Prato di Mezzo.
 
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