Monti Invisibili
Monte Ruazzo
Quota 1.314 m
Data 29 novembre 2018
Sentiero segnato
Dislivello in salita 1.383 m
Dislivello in discesa 1.328 m
Distanza 29,79 km
Tempo totale 9:06 h
Tempo di marcia 8:24 h
Cartografia Il Lupo Monti Aurunci
Descrizione Dalla stazione di Formia (40 m) per Via Acervara (50 m, +25 min.), le baracche pastorali di quota 328 (+1,20 h), Monte Tuonaco (1.176 m, +3 h), la Valle di Sciro (1.115 m), Monte Ruazzo (1.314 m, +45 min.), la Forcella di Campello Vecchio (840 m, +1 h), Fonte di Tozzo (700 m, +17 min.), Itri (170 m, +1,07 h) e la Stazione di Itri (87 m, +30 min.). Faticosa e impegnativa traversata in ambiente scabro e dall’orientamento impegnativo nonostante una segnaletica costante e frequente. Panorama fantastico da Ischia a Ponza al Circeo da una parte e dal Velino alle Mainarde dall’altra.
035 Verso Itri
034 Fontana di Tozzo
033 Verso Forcella di Campello Vecchio
032 Verso Forcella di Campello Vecchio
030 Da Monte Ruazzo
029 Da Monte Ruazzo
028 Il Redentore
027 Monte Ruazzo
026 Valle di Sciro e Monte Ruazzo
025 Valle di Sciro e La Meta
024 Monte Tuonaco
023 Verso Monte Tuonaco
022 Verso Monte Tuonaco
021 Golfo di Gaeta
020 Piano Terruto
019 Piano Terruto
018 Verso Monte Tuonaco
016 Verso Monte Tuonaco
015 Verso Monte Tuonaco
014 Il Redentore
013 Golfo di Gaeta
012 Golfo di Gaeta
011 Costa dell Abate
010 Monte Costamezza
009 Golfo di Gaeta
007 Verso Costamezza
006 Gaeta e Ventotene
005 Verso Costamezza
003 Valle di Itri
002 Acerbara
001 Formia stazione
000 Uummannaq
000 Kilimanjaro sella Kibo
000 Denali National Park McKinley
Monte Ruazzo, 29 novembre 2018. Se torno indietro con il pensiero, mi avvedo che le montagne che più mi sono rimaste impresse sono quelle che sorgevano da una pianura sconfinata, come il McKinley in Alaska o il Kilimanjaro in Tanzania; ma anche quelle che si elevavano dal mare, come l’Uummannaq in Groenlandia. D’altronde la quota delle montagne si computa dal livello del mare ed è emozione rara partire dall’acqua per arrivare in cima alla roccia.
Oggi allora, che ho voglia di un viaggio oltre che di sentieri, eccomi in una Roma ancora buia alla volta della stazione, per saltare sul rapido per Formia e andare a conoscere alcune vette che proprio dal mare sorgono, in quel Parco Naturale dei Monte Aurunci che si estende alle spalle della cittadina rivierasca.
Ora, se già in questo Paese un tizio in zaino e scarponi genera sospetto, figuriamoci se questo tizio gira così abbigliato per una località marina. Con il disagio che proverebbe un palombaro ciclista, mi sento additato al pubblico ludibrio: le mamme stringono a sé i pargoli, i cani ringhiano, i vecchi scuotono la testa e al bar mi servono un cappuccino ma non mi staccano gli occhi di dosso.
Un paio di chilometri per un ambiente più congeniale di solitudine assoluta che, con la sola presenza assidua del mare, mi accompagnerà per le ore a venire.
La pietrosa carrareccia, bordata di antichi muri a secco, sale a lunghe svolte in un paesaggio mediterraneo di mirti, capperi e corbezzoli. Gaeta splende nel riverbero davanti a Ventotene, con Ischia e Ponza a completare la compagnia.
Immerso in questa solitudine marina, rifletto sul mutare degli ambienti a ogni incedere di passo: le pietre lasciano il posto agli arbusti, gli arbusti agli alberi e gli alberi di nuovo alle rocce.
E così è la vita: un continuo mutamento, un divenire che forse è la causa di tutta l’infelicità umana. Perché l’uomo, l’essere vivente, fosse per lui eviterebbe ogni cambiamento, nel quale invece si ritrova immerso in ogni fase della vita. Allora il segreto per la felicità potrebbe essere accettare il divenire, inserirsi armonicamente in questo fino a governarlo senza lasciarsi sopraffare. John Steinbeck scriveva: “Tristi sono quelli che sprecano energia nel cercar di impedire il mutamento, perché così proveranno solo amarezza nella perdita e nessuna gioia nell’acquisto”.
Mentre rimugino, il tratturo termina e il percorso diviene ostico, su una distesa di pietre appuntite sommerse in un mare di vegetazione. Traballo per un po’ e poi dall’alto crinale la vista si fa ancora più profonda, sull’infinito blu e sul dirimpetto Redentore.
Lungo una grande cengia, alta sulla Valle di Itri, fra il belare di greggi e gli scampanii di vacche, supero valli deserte dall’orientamento impegnativo nonostante l’assidua segnaletica, e sfocio sull’aspro Piano Terruto, traforato di doline e dominato dal Monte Tuonaco.
Ripida e dura la rocciosa salita per le mie stanche membra, ma confortata dagli aromi della salvia selvatica e del ginepro. Dopo l’aggiramento di due ampie doline di cresta ecco i 1.176 metri della cima, sul bordo del desertico tavolato carsico della Valle di Sciro, dietro il quale splende la linea delle Mainarde innevate.
Il silenzio oppressivo della remota valle e un’altra ostica salita per i 1.314 metri del Monte Ruazzo, il pettirosso in dialetto. Un tiepido sole scalda la pelle, la vista è soddisfatta dalla tirrenica curvatura terrestre e una tazza di Lapsang sochong, il tè affumicato cinese, scatena sentori di campagna, di camino, di selvatico.
Il sole della stagione è basso e senza indugi devo riprendere il cammino. Verso l’interno il territorio si fa più boscoso e appenninico, fra oscure leccete e luminose radure.
Una sciacquata alla Fontana di Tozzo e una lunga carrareccia mi conduce a Itri, dove riprendono a guardarmi storto e mi fermano per chiedermi da dove vengo.
Birra, cocacola, patatine e gli ultimi due chilometri sulla statale senza marciapiede sono i più pericolosi della giornata: era meglio attendere la navetta per la stazione.
Roma, nella metropolitana, incassato nella folla: qualcuno mi guarda, i più m’ignorano, tutti non sanno.