Monti Invisibili
Fosso Malepasso
Quota 2.327 m
Data 27 agosto 2016
Sentiero parzialmente segnato
Dislivello 1.564 m
Distanza 15,36 km
Tempo totale 10:56 h
Tempo di marcia 8:36 h
Cartografia Il Lupo Gran Sasso d’Italia
Descrizione Dal Piano del Fiume (850 m) per l’Eremo di Santa Colomba (1.234 m, +45 min.), il Fosso Malepasso, la Cima del Vado del Piaverano (2.327 m, +2,51 h), il Vado del Piaverano (2.281 m, +5 min.), la Sella del Cimone di Santa Colomba (1.840 m, +1,40 h), l’Eremo di Santa Colomba (+1,50 h), l’incrocio con il sentiero Enel (1.100 m, +13 min.) con deviazione verso le Cascate della Vena Rossa (+55 min. a/r) e ritorno a Piano del Fiume (+17 min.). Splendida avventura in territorio poderoso e selvaggio. Traccia per la Sella del Cimone di Santa Colomba sbiadita ma evidente, discesa nel fosso malagevole e ripida. Avvistati numerosi branchi di camosci.
Fosso Malepasso, 27 agosto 2016. Quel lucertolone roccioso aveva suscitato la mia curiosità fin dalle prime percorrenze del Sentiero del Centenario. Eccolo qui, nella prima foto, in uno scatto del 2001 (no, non è quello con gli occhiali).
Avrei scoperto solo alcuni anni più tardi che si chiama Cimone di Santa Colomba, un treno roccioso lanciato fra due profondi, selvaggi e impegnativi valloni del tormentato versante settentrionale del Gran Sasso: il Malepasso e il Fossaceca.
Dopo gli iperalcolici ozi scozzesi, è tempo allora di riprendere la via dei sentieri, purtroppo con il cuore pesante per il recente terremoto amatriciano.
Giungo al Piano del Fiume e un imprevisto imbarazzo mi procura la perdita della biancheria intima, corroboranti abluzioni nel frizzantino Torrente Ruzzo, nonché un generoso risciacquo dei panni nelle stesse acque. Con i pantaloni bagnati m’inerpico finalmente su un sentiero a fisarmonica, in un inusuale bosco di abeti bianchi che lascia presto il posto agli appenninici faggi.
Ecco l’Eremo di Santa Colomba, da dove si avvia la direttissima per il Cimone. Ma ultimamente mi sento più interessato ai sentieri che alle vette, al viaggio che alla meta, in accordo con il Pirsig de Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta: viaggiare è meglio che arrivare.
E poi a volte le montagne si vedono meglio da sotto.
Così tralascio la cresta e scendo nell’isolato Fosso Malepasso, introducendomi in un ambiente poderoso e selvaggio, incassato fra le alte pareti del Cimone e del Brancastello.
La salita è oltremodo ripida, con radi segni giallorossi nascosti da un’erba alta e scivolosa che cela pietre insidiose; ma la natura è ancora rigogliosa e allietata da fioriture, con acque copiose che tintinnano al mio fianco.
Costeggio a lungo il lucertolone, mentre il serpente dell’autostrada si distende nell’assolata pianura teramana e un camoscio saltella, facendosi beffe del mio arrancare.
Lascio sotto il Cimone (ma una traccia sbiadita mi fornisce lo spunto per la seconda parte della giornata), attraverso campi di stelle alpine e camosci e sono infine sulla cresta del Centenario, in corrispondenza dei 2.327 metri della Cima del Vado di Piaverano.
Un Toscano arde lento in un silenzio carezzato solo dal ronzio delle api, e la vista si perde sull’infinito Campo Imperatore, sul bianco Brancastello e sul complicato affastellamento delle Torri di Casanova.
È tempo di riprendere il cammino. A quota 1.750 intercetto quella traccia sbiadita e, attraversando di netto il Malopasso, mi dirigo verso la bastionata rocciosa che protegge la sella del Cimone, lungo campi di ortiche e di orapi che mi assicurano della giusta rotta.
Mi sembra di scorgere un intaglio e infatti un’evidente traccia scalettata, costellata di orapi maturi, mi conduce in breve ai 1.840 metri della Sella del Cimone di Santa Colomba, appena sotto la testa del lucertolone che da qui si erge come un enigmatico monolite. Un luogo affascinante e remoto, tracce di stazzi e campi di orapi testimoniano di un antico uso pastorale. Dall’altra parte la vista precipita nel Fossaceca, dove si scorge un sentiero: ma quella sarà un’altra avventura.
Inizio ad accusare la stanchezza e per il ritorno decido (e mal me ne incolse) di seguire il fondo del fosso, in candido calcare. Salti rocciosi mi spingono più volte sull’erba ripida e scivolosa; i capitomboli di susseguono, branchi di camosci mi scrutano perplessi. Infine saluto il selvaggio Malepasso e sono di nuovo alla chiesetta.
Con le gambe un po’ legnose ma colme di entusiasmo, è tempo per l’ultima avventura della giornata. Poco sotto l’eremo prendo a destra per una traccia senza indicazione che su un croccante tappeto di foglie mi conduce in breve a una cengia, attrezzata con corde e parapetto: sentiero di servizio per le captazioni Enel.
Il percorso, scavato nella montagna, supera un cancelletto aperto, aggira uno spigolo e rimango senza parole davanti all’incomparabile spettacolo: un enorme anfiteatro di roccia rossa – le cosiddette Gole della Vena Rossa, parte inferiore del Fossaceca – lungo il cui strapiombo scendono ovunque cascate e rivoli d’acqua che si perdono sul lontano fondo tempestato di alberi caduti.
In uno stato di esaltazione m’introduco in un serie di gallerie scavate nella roccia, con finestre che concedono vertiginosi affacci nel vuoto e sulla dirimpetta Cascata di Santa Colomba.
Una porta in ferro sembra chiusa, ma non serve l’Apriti sesamo per convincerla a farmi passare. Una breve scala e una lunga buia galleria. Interminabili minuti di cammino nell’oscurità e sono in una sala nella quale precipita a cascata una delle sorgenti del Ruzzo, che poi rimbalza sul fondo della forra.
La cengia prosegue, ma il sentiero è stato danneggiato da una frana ed è inoltre ormai tardi.
Rientro sui miei passi, entusiasmato dalla passeggiata, ma anche inquieto: il pensiero del terremoto non mi ha mai abbandonato durante il cammino; il Vescovo di Rieti ha detto: “Non uccide il sisma, ma le opere dell'uomo”.
E tutte questa captazioni, quanta acqua ci rubano, di quali spettacoli ci privano. Come questo sentiero, ufficialmente proibito, ma che se fosse sistemato, conosciuto, addirittura a pagamento, a quanti farebbe godere di queste incomparabili meraviglie?