Monti Invisibili
Le ragioni dello sguardo
Dal 19 dicembre 2014 al 28 febbraio 2015 espone a Roma, presso il Granaio di Santa Prassede, la mostra fotografica collettiva Le ragioni dello sguardo e il fotografo fotografato.
Il corpo centrale è costituito dalle immagini in bianco e nero di Alberto Bruno (1865-1922) e di Leopoldo Ceccarelli (1903-1941). Il primo è stato un industriale napoletano appassionato di fotografia e gli scatti raccontano momenti di vita familiare e sociale italiana in un periodo compreso fra il 1890 e il 1920.
Ceccarelli è stato invece un pilota dell’Ala Littoria, abbattuto in Libia, e l’archivio propone soprattutto immagini aeree di Roma e di altre città italiane, di porti e di montagne.
Sono esposti inoltre una cinquantina di miei scatti, dedicati in prevalenza al nostro Appennino.
La mostra, con ingresso gratuito, è aperta tutti i giorni con orario 14-19 in Via di Santa Prassede 8 (Piazza di Santa Maria Maggiore), Roma.
Le ragioni dello sguardo Fino a quando non mi è stata posta una specifica domanda, non mi ero mai interrogato sulla mia visione della fotografia. Pur fotografando ormai in maniera consapevole da trent’anni, essendomi occupato per tre anni anche di fotografia aerea, per me la fotografia è sempre stata un importante e fondamentale corollario della mia attività di viaggiatore e camminatore.
Ma come mi sono interrogato sul mio viaggiare e sul mio andar per monti, anche questa è stata una domanda che mi ha stimolato.
Però, pur riflettendoci sopra a lungo, non mi è sembrato di individuare una mia visione della fotografia. Anzi, probabilmente è la fotografia che ha una visione di me. Mi spiego. Io fotografo per lo più l'ambiente, il territorio, la realtà. E questa realtà è già lì, nelle sue infinite declinazioni di luci di ombre di forme. Giocando con il taglio, la luce, la prospettiva non faccio che cogliere questo aspetto, che però, perdonate il gioco di parole, è già lì che mi aspetta. Io non sono altro che il modo con cui quell'aspetto della realtà si manifesta e prende coscienza di se.
Ma questo è solo la mia opinione della mia fotografia ed essendo un’opinione ne esistono tante quanti sono i fotografi e anche quanti sono quelli che pur non fotografando fruiscono della fotografia.
Perché andando al nocciolo, la fotografia in concreto cosa è, di cosa è fatta, con una definizione che necessariamente metta d'accordo tutti? Altro non è che luce, luce catturata per sempre. E da questo “per sempre” arriviamo a Roland Barthes, che nel saggio La camera chiara suggerisce che la fotografia è fatta di tempo.
Ma questo è come identificare un libro con la sua definizione didascalica, come un insieme di fogli rilegati e tenuti insieme con una copertina. Definizione senz'altro giusta, concreta, ma che tralascia l'aspetto ideale: un libro è infatti è memoria, è idea, è passione, è sentimento, è umanità.
Ecco, credo che con una sorta di analogia la fotografia possa essere la stessa cosa: è luce ed è anche tutto il resto; per me probabilmente è soprattutto memoria.
Una memoria che come è stato giustamente osservato è connotata delle idee, dalla tradizione culturale, della storia dell'autore: come hanno individuato gli antropologi, noi vediamo ciò che noi vogliamo vedere.
Ed ecco che mi sembra il cerchio si chiuda: la fotografia è riconoscere, individuare, in ciò che sta intorno a noi spicchi di realtà che sono altrettante visioni, e mediante la fotocamera isolarli dal resto e donargli vita propria.
Fotografare dettagli che passerebbero inosservati a un altro e che illuminano fugacemente non tanto la scena ma la nostra visione del mondo: e quindi è per questo che dico che è la fotografia che ha una visione di me.