Monti Invisibili
Traversata Tolfa - Santa Severa
Quota 576 m
Data 2 marzo 2024
Sentiero non segnato
Dislivello in salita 452 m
Dislivello in discesa 920 m
Distanza 27,59 km
Tempo totale 7:48 h
Tempo di marcia 7:04 h
Cartografia Il Lupo Monti della Tolfa
Descrizione In bus Cotral a Tolfa (484 m). Poi per la Rocca dei Frangipane (553 m, +14 min.), il guado del Fosso Caldano (290 m, +1,18 h), Monte la Tolfaccia e l’abitato medievale di Tolfa Nova (579 m, +1,03 h), il Fontanile della Fontanaccia (454 m, +25 min.), la Necropoli delle Tufarelle (200 m, +58 min.), una serie di cinque più e meno impegnativi guadi del Fosso del Chiavaccio, il guado del Rio Fiume (50 m, +1,33 h), Santa Severa (8 m, +55 min.) e la stazione di Santa Severa (16 m, +38 min.). Affascinante e impegnativa escursione in ambiente severo e selvaggio, con notevole quantità di fango e dall’orientamento complesso, con uso indispensabile del GPS.
024 Santa Severa
023 Fosso del Chiavaccio
022 Verso Fosso del Chiavaccio
021 Necropoli delle Tufarelle
020 Verso Necropoli delle Tufarelle
019 Verso Necropoli delle Tufarelle
018 Verso Necropoli delle Tufarelle
017 Verso Necropoli delle Tufarelle mucca
016 Fontanile della Fontanaccia
015 Monte la Tolfaccia
014 Da Monte la Tolfaccia
013 Monte la Tolfaccia
012 Monte la Tolfaccia
011 Monte la Tolfaccia
010 Monte la Tolfaccia
009 Verso Monte la Tolfaccia
008 Verso Monte la Tolfaccia aratro
007 Verso Monte la Tolfaccia
006 Verso Fosso Caldano basolato
005 Verso Fosso Caldano
004 Tolfa Rocca dei Frangipane
003 Tolfa Rocca dei Frangipane
002 Tolfa Rocca dei Frangipane
001 Tolfa insegna Ferrania
000 Tolfa - Santa Severa dislivello
Traversata Tolfa - Santa Severa, 2 marzo 2024. Errare humanum est – humanum fuit errare, secondo Sant’Agostino. E infatti errare, nel senso di andare alla ventura senza meta certa, è una perfetta metafora della vita umana, persa nell’incertezza di una direzione da seguire, come ricorda anche Dante “per una selva oscura, che la diritta via era smarrita”.
Errare nel doppio significato di vagare e sbagliare, stessa radice dal greco èrrein, a indicare fin dall’origine la genetica simbiosi fra il cammino e il perdersi. Ma di un perdersi che è fonte di opportunità: un andare per strade nuove seguendo direzioni impreviste.
Ci si può quindi mai veramente perdere? Faceziando anni fa scrivevo che io non mi perdo mai, basta che dove mi trovo ci sia anche io. E in effetti questa interpretazione dell’errore ci porta solo a considerarlo una tappa necessaria verso la conoscenza.
In questa lunga traversata dai colli fino al mare, ne ho fatti di errori, più volte sono rimasto incerto fra direzioni vaghe e tutte simili, ma mai mi sono smarrito, in una ricerca di sempre nuove opportunità di procedere.
Usuale audace combinazione di treno e bus e Tolfa mi accoglie con nebbie primaverili che subito si stendono sotto la Rocca dei Frangipane. Lascio alle spalle questo lembo di maremmana civiltà e m’inoltro nelle pieghe di un territorio selvaggio, preso subito per mano, o meglio per i piedi, da un’antica traccia basolata, con tanto di crepidine, che s’immerge in un folto umido e gocciolante. Il largo sentiero è un ruscello, ma le antiche pietre, ancorché scomode al passo e per lunghi tratti franate, tengono l’acqua lontano dagli scarponi e il cammino procede insospettabilmente agile.
Un quarto d’ora ad aiutare un tal Enrico a estrarre il suo fuoristrada dal fango e procedo in un territorio sempre più solitario e onusto di acque.
Vacche maremmane sotto cieli fioccosi, cancelli marciti e il primo dei molti guadi di questa sgambata. Il basolato appare e scompare, tratturi si alternano a sentieri dall’incerta direzione.
Ma il timore di perdersi mette adrenalina nelle vene: fiuto l’aria, scruto le tracce, mi allerto ai rumori. È un momento di svolta per uscire dalla quotidiana soporifera zona di comfort.
Poi emergo su un dissestato tratto asfaltato, con la prima vista sul mare, che mi reca alle pendici del Monte la Tolfaccia. Presumo che il basolato conducesse proprio qui. Monte la Tolfaccia era infatti il sedime di Tolfa Nova, fiorente abitato medievale sulla rotta del porto di Pyrgi che arrivò a ospitare un migliaio di abitanti e del quale restano pochi ruderi avviluppati dalla vegetazione.
Mi arrampico con difficoltà sulla cinta di massi verticali che protegge la sommità e fra le rovine di una chiesa e di un antico forno consumo il mio pranzo, nell’intima atmosfera di una tenue pioggerella.
Nella cauta discesa la pioggia si fa grandine e poi dal Fontanile della Fontanaccia e dalla vicina omonima villa romana prendo a tagliare su tracce oltremodo fangose quell’ondulata Bandita Grande, regno di maremmane e asfodeli.
Dalle remote tracce della Necropoli delle Tufarelle inizio una serie ininterrotta di guadi sempre dello stesso Fosso del Chiavaccio: alcuni agevoli, altri perigliosi sul fiume ingrossato dalle recenti piogge.
Per lambire poi lungamente un piacevole sentiero in saliscendi sulle sponde del Rio Fiume, dove appaiono anche dei volontaristici ma provvidenziali bolli rossi. Il guado più periglioso e proprio su questo Rio e poi mi attendono pochi chilometri di asfalto prima di giungere a Santa Severa, sulle sponde del Mar Tirreno, già densa di villeggianti del sabato che scrutano perplessi un tizio in zaino e scarponi fangosi.
No, non mi sono perso: sono giunto a destinazione. Ma il cammino è stata una costante incertezza, un afferrare continuamente il mio destino. Perché in fondo perdersi è libertà.