Anello di Monterano
Quota 424 m
Data 20 ottobre 2014
Sentiero non segnato
Dislivello 469 m
Distanza 18,42 km
Tempo totale 5:45 h
Tempo di marcia 4:39 h
Cartografia Il Lupo Monti della Tolfa
Descrizione Dalla stazione di Manziana (338 m) della linea ferroviaria Roma–Viterbo per Quadroni (395 m, +18 min.), Via Viterbo, Canale Monterano (375 m, +22 min.), la Solfatara (203 m, +28 min.), Monterano (288 m, +18 min.) con visita dell’antico feudo (+35 min). Poi per la Strada Provinciale 3a (312 m, +35 min.), Via Fontericcio, Via Ponte del Diavolo, i ruderi del Ponte del Diavolo (265 m, +30 min.) e i vicini resti della Via Clodia, la Macchia di Manziana (300 m, +30 min.), Prato Camillo (350 m, +33 min.), la Braccianese Claudia (+10 min.) e la stazione di Manziana (338 m, +20 min.). Splendido anello, quasi completamente ciclabile, su strade, carrarecce, tratturi e brevi sentieri.
049 Macchia di Manziana Prato Camillo
047 Via Clodia
046 Via Clodia
044 Via Clodia
042 Ponte del Diavolo
037 Ponte del Diavolo
034 Monterano
031 Ciclamini
029 Monterano San Bonaventura
026 Monterano castello Orsini Altieri
025 Monterano castello Orsini Altieri
024 Monterano castello Orsini Altieri
023 Monterano castello Orsini Altieri
022 Monterano San Bonaventura
021 Monterano San Bonaventura
020 Monterano acquedotto
019 Monterano Cavone
013 Monterano Cavone
011 Monterano
010 Monterano Zolfatara
009 Monterano Zolfatara
008 Liana
006 Canale Monterano
Treno per Manziana, 20 ottobre 2014. Da nomade appassionato Bruce Chatwin riteneva che la vera casa dell’uomo non è una casa, ma la strada, e che la vita stessa è un viaggio da fare a piedi.
Sono anch’io convinto dell'argomento, considerati i malesseri della moderna sedentarietà, le nevrosi che cagiona vivere rinchiusi fra mura e iperaffollate metropoli e, al contrario, quanto sublime piacere inducano nell'animo il viaggio e il contatto con la libera natura.
D'altronde già quattro secoli fa Blaise Pascal affermava di aver scoperto la causa di tutta l’infelicità umana: di non sapere restarsene quieti in una camera. E rincarava la dose scrivendo che la natura umana consiste nel movimento: la quiete assoluta è la morte.
Assolto quindi da cotanti personaggi nella mia smania di viaggio, scoperta e cammino, devo dire che a me fa lo stesso effetto anche l’automobile, sorta di diaframma frapposto fra il viaggiatore e lo spazio viaggiato che impigrisce il corpo e la mente e che a volte mi sembra la negazione stessa del viaggio. Ma ogni tanto – raramente in Appennino – si riesce a farne a meno, come durante questa fuga lavorativa infrasettimanale in treno alla volta della Tolfa.
Il treno, questo gigante buono che si inserisce lieve nel territorio senza divorarlo e che a differenza delle strade non crea nuclei di antropizzazione se non nelle sue distanziate stazioni. E che esprime tutto il genio della mente umana: le pietre rotolano, i tronchi galleggiano, gli uccelli volano, ma nulla poteva essere copiato a somiglianza di un binario.
Unica nota negativa è che in questo Paese di provinciali uno che se ne vada a spasso con zaino e scarponi viene guardato con sospetto e meraviglia come una sorta di marziano pervertito.
Ore 12,06. La pipa arde aromatica qui nel diruto feudo di Monterano, deserto nella giornata lavorativa.
Veloce cammino dalla stazione di Manziana lungo solitarie asfaltate in una calda giornata di ottobre che fatica a scrollarsi di dosso i sentori estivi. Transito per gli abitati di Quadroni, Canale Monterano e anche per il borghetto del Castagno, dove ormai quarant’anni or sono trascorremmo alcune estati e anche molti finesettimana delle altre stagioni. Una vita fa, tutto è cambiato, irriconoscibile e il peso degli anni si affastella nella mente.
Incrocio per strade solitarie verso la città morta di Monterano, mentre i sentori della solfatara si fanno sempre più intensi e si confondono con quelli del muschio e dei fiori di finocchio selvatico. A piedi il mondo diventa più grande, più bello, più profondo.
M’insinuo nell’oscura tagliata del Cavone ed eccomi finalmente sotto il leone di pietra dell’antico castello e nella grande piazza erbosa con la solitaria fontana ottagonale e le grigie pietre del convento di San Bonaventura.
Un paio d’ore e ho nel carniere le foto necessarie. Ora è tempo di godermi la fumata, prima di riprendere il cammino.
Ore 15,48. Treno per Roma. Terminata la pipa, riprendo a ricamare insieme note strade e carrarecce, dirigendomi verso il Ponte del Diavolo, che lo scorso anno non ero riuscito a trovare.
Scorgo una traccia e m’intrufolo in un groviglio di vegetazione, confidando nelle indicazione del gps. Sembra quasi debba rinunciare quando all’improvviso mi si eleva davanti l’antico ponte romano, avviluppato in un intrico di rovi e arbusti.
Gli antichi, ciclopici blocchi squadrati di peperino aprono la via anche agli enormi basoli della Via Clodia, che seguo fra lo stupore e la meraviglia di percorrere questa ormai persa strada dove è passata la storia. Non quella delle legioni e delle conquiste, ma quella di qualche manipolo di soldati, dei viandanti, di pastori e contadini.
Ecco l’ingresso dell’ombrosa Macchia di Manziana, dove seguo verso nord il dedalo di note stradine, fino a giungere alla stazione, giusto in tempo per il treno delle 15,31 verso casa.