Monti Invisibili
Monumento Naturale di Montecassino
Quota 593 m
Data 1° ottobre 2021
Sentiero parzialmente segnato
Dislivello 1.123 m
Distanza 31,05 km
Tempo totale 9:11 h
Tempo di marcia 8:22 h
Cartografia Il Lupo Monti Aurunci
Descrizione Dalla stazione ferroviaria di Cassino (37 m) per la Zona Archeologica Casinum (93 m, +20 min.), Rocca Janula (164 m, +20 min.), il Cimitero Militare Polacco (436 m, +1,05 h), la Stele alla Terza Divisione Fucilieri dei Carpazi (593 m, +25 min.), la Casa del Dottore (578 m, +7 min.), il monumento detto il Carro Armato (505 m, +15 min.), Pozzo Alvito (462 m, +10 min.), la Cavendish Road, la frazione di Caira (190 m, +50 min.), la risalita per il Vallone delle Chiaie fino a Pozzo Alvito (+2,15 h), di nuovo il Carro Armato (+10 min.), Masseria Albaneta e il Birrificio Montecassino (469 m, +5 min.), l’Abbazia di Montecassino (516 m, +35 min.) e la stazione ferroviaria (+1,45 h). Magnifica escursione su percorsi di fede e di guerra. Persa la traccia nella risalita verso Pozzo Alvito e finito nella macchia spinosa su terreno ripido, infido e scivoloso; trovato ordigno bellico a quota 371. Probabilmente al punto d’indecisione di quota 85 è necessario seguire la carrareccia a destra e non quella a sinistra. Avvertiti numerosi cinghiali nel folto. Cinquecentesimo chilometro di dislivello in salita.
038 Abbazia di Montecassino
037 Abbazia di Montecassino
036 Abbazia di Montecassino
035 Birra Montecassino
034 Birra Montecassino
033 Birrificio Montecassino
032 Il Carro Armato
031 Proiettile mortaio 2 pollici
030 Proiettile mortaio 2 pollici
029 Proiettile mortaio 2 pollici
028 Proiettile mortaio 2 pollici
027 Cavendish Road
026 Cavendish Road
025 Mainarde
024 Cavendish Road
023 Il Carro Armato
022 Il Carro Armato
021 Casa del Dottore
020 Casa del Dottore
019 Masseria Albaneta
018 Abbazia di Montecassino
017 Dalla Stele
016 Stele III divisione
015 Stele III divisione
014 Stele III divisione
013 Stele III divisione
012 Stele III divisione
011 Verso la Stele
010 Verso la Stele
009 Cimitero Militare Polacco
008 Cimitero Militare Polacco
007 Cimitero Militare Polacco
006 Cimitero Militare Polacco
005 Ginocchio di San Benedetto
004 Verso Montecassino
003 Rocca Janula e La Meta
002 Verso Montecassino
001 Zona Archeologica Casinum
Montecassino, 1° ottobre 2021; 500.267 m. Ci sono territori dove le epoche sono trascorse senza altro effetto che un po’ di erosione; e ce ne sono altri dove la storia ha pestato giù duro; dove l’uomo ha inciso percorsi di vita e di sofferenza capaci di modificarne l’aspetto stesso.
Pur amando oltre ogni misura il selvaggio e il solitario, sono forse questi ultimi quelli che mi attraggono maggiormente. Percorsi dove la fede, la guerra e la storia si fondono – come spesso accade – in un tutto che rende il cammino una continua scoperta ma anche una continua riflessione. E queste sono passeggiate che, proprio per lasciare libero corso ai pensieri, richiedono un andamento solitario, intimo, senza il pur piacevole ingombro di un compagno.
“Eccolo qua” esclamò trionfante, mentre indicava un punto sulla carta “questo è il ventre della vacca!” “E come si chiama?” “Cassino.” E fu così che sfollammo tutti a Cassino. Papà, senza saperlo, ci aveva procurato alcune poltrone di prima fila per assistere a una delle più tremende battaglie della Seconda guerra mondiale.
Le righe dello spassoso Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo, mi scorrono nella mente mentre sfreccio invisibile su un treno ancora notturno alla volta proprio di Cassino. L’affascinante e ricco di storia Parco dei Monti Aurunci mi attrae ogni anno in questo periodo e decido di dedicargli questa importante tappa della mia vita di camminatore.
Già, perché oggi sono in procinto di varcare quota cinquecento: 500.000 metri di dislivello in salita.
Tenere traccia delle passeggiate in montagna era iniziato per gioco, quasi un modo per appuntare nuove medaglie sul petto dello zaino, mostrandomi, insieme all’inesorabile trascorrere del tempo, anche la faticosa progressione altimetrica.
Ma da quando? Pur essendo cresciuto nei boschi per gran parte delle mie estati e aver calcato sentieri in maniera casuale durante altre stagioni della mia vita, la montagna l’ho conosciuta tardi. Mi vien da dire che potrei collocare quota zero in Islanda: esattamente l’11 agosto del 1990, un sabato, quando con un amico ci avviammo dalle spiagge di Hof per risalire i 1.126 metri del Monte Kristinartindar, nel Parco nazionale Skaftafell.
E da lì, folgorato dalla visione di un mondo più vasto, non ho più smesso di camminare e di salire, in una progressione ininterrotta.
I primi 100.000 erano trascorsi lenti in oltre undici anni, in una ricerca di una dimensione escursionistica che ancora vedeva i grandi viaggi prevalere sulla passione montana e celebrati il 12 gennaio 2002 in vetta al Muro Lungo.
I 200.000 già avevano stabilito un buon ritmo, giungendo ai 3.645 metri del Monte Vioz, nel Gruppo Ortles-Cevedale, nel 2008 in circa sei anni; anni che avevano visto anche il mio matrimonio con Flavia e la nascita della piccola Vittoria.
E da qui si entra in quella che considero la mia maturità escursionistica con la Grande Traversata dei Parchi Nazionali Appenninici: uno spartiacque fra il prima e il dopo della mia vita di camminatore.
Poco meno di cinque anni per i 300.000 sul Monte del Papa, nel massiccio del Sirino, in un periodo caratterizzato dall’appassionata appartenenza al Club 2000 m, che mi ha condotto per vette e sentieri che mai avrei pensato. E così, scoperte vette e valli che non conoscevo, vado a esplorarle di buona lena, arrivando in quattro anni ai 400.000 sulle ferrate del Sentiero Bonacossa delle Dolomiti di Sesto.
Il treno sferraglia e una Cassino finalmente luminosa accoglie i miei primi passi che mi portano a sfiorare l’inusuale (e ben serrata) area archeologica con tanto di teatro romano e l’altrettanto chiusa Rocca Janula.
Abbandono l’asfalto e rallento il passo per due chiacchiere con Alessandra, pellegrina sui sentieri dello spirito: dalla Francigena fino a qui e poi su di nuovo verso Norcia. Discorsi di fede e di pandemia, un abbraccio e sono di nuovo solo.
Accedo ora timoroso alle sacre pietre del Cimitero Militare Polacco. Tutta l’area è tempestata di tristi ricordi del Secondo Corpo d’Armata, quando le truppe del generale Anders presero Montecassino dando “l’anima a Dio, i corpi alla terra d’Italia, i cuori alla Polonia”.
Perché raramente ci si ricorda che nella nozione di Alleati non erano ricompresi solo i più noti americani e inglesi, ma una congerie di eserciti, spesso in fuga dai propri territori occupati (nel caso della Polonia sia dalla Germania che dalla Russia) e arruolatisi per combattere ovunque per la libertà.
E siccome tre assalti non erano bastati ad avere ragione della linea Gustav all’altezza di Montecassino, si decise di bombardare l’abbazia benedettina. Ma neanche questo fu sufficiente, anzi i tedeschi si arroccarono fra le macerie, e allora si fecero avanti le truppe di Anders e il 18 maggio 1944 parteciparono in maniera determinante all’assalto decisivo. Pagarono un altissimo prezzo in termini di vite umane, ma i tedeschi furono costretti a ripiegare.
1.051 figli di Polonia sono qui fra cui lo stesso generale Władysław Anders, morto in esilio nel 1970 e che volle tornare ai suoi soldati.
Riprendo pensieroso il cammino, in un bosco di lecci e roverelle, dove gli stessi segnavia biancorossi del CAI sembrano un omaggio alla nazione polacca. Ecco la Stele che ricorda la Terza Divisione Fucilieri dei Carpazi, in panoramica posizione ai 593 metri di una quota che prese il nome di Calvario, per la quantità si sangue versato.
Fra piacevoli stradicciole sfioro la Casa del Dottore, un edificio in pietra che divenne ospedale di prima linea, e infine il cosiddetto Carro Armato, un monumento ricavato da un mezzo corazzato americano Sherman.
Fra gustose more tardive sono ora sulla Cavendish Road, una strada militare scavata dai genieri indiani e neozelandesi nel marzo del 1944 ampliando un’antica mulattiera e che fu determinante per far affluire gli approvvigionamenti alle spalle delle postazioni difensive tedesche attestate nell’area dell’Abbazia di Montecassino. Quello Sherman passò da qui.
Sulle tracce della storia, con vista su La Meta e le Mainarde, scendo fino a 80 metri di quota e ora tocca risalire. Qualche indecisione e poi imbocco la strada sbagliata. Dapprima larga e ripida in un bosco fitto, si trasforma poi in impervia e ripidissima in una macchia spinosa e scivolosa. Eppure ci sono numerose e incise tracce, che non sembrano di animali e che ora appaiono ora dispaiono. Resto in piedi per miracolo, mi appendo ai rovi stillando sangue e poi capisco: sono tracce di soldati. Ecco una piazzola scavata nella roccia, e poi a maggior conferma un proiettile di mortaio inesploso, datato luglio 1942.
Un po’ preoccupato, fra cinghiali grufolanti nel folto e gps alla mano, ne esco fuori e nella testa mi frulla lo scambio di battute di Totò nei Due colonnelli:
Colonnello Di Maggio (Totò) I mortai vostri?
Maggiore Kruger: Ja.
Colonnello Di Maggio: Avete capito Quaglia?
Sergente Quaglia (Nino Taranto): I mortai loro?
Maggiore Kruger: Mortai tedeschi.
Colonnello Di Maggio: E della vostra famiglia! Sì, dico... della famiglia tedesca.
Dopo il Carro Armato riprendo un più agile cammino e alla Masseria Albaneta mi giunge inaspettato il giusto premio per tante fatiche: il Birrificio Montecassino. Mezzo litro di ottima bionda e sono di nuovo in forze per l’ultima sgambata fra la storia. Quell’Abbazia di Montecassino, distrutta e ricostruita, epicentro di fede e di guerra e che ora è di nuovo lì, un monumento all’insipienza e alla grandezza umana.
I cinquecento sono passati senza neanche accorgermene, mentre giocavo con bombe, rovi e scivolate.
Quale valore possono avere? Quale può essere il loro significato? Nulla più dello scorrere del tempo. Come la sabbia in una clessidra, negli ultimi trent’anni i metri hanno scandito il ritmo della mia esistenza, in un’esigenza di cammino che è parte della mia vita.
In marcia!