Monti Invisibili

Macèra della Morte

Quota 2.073 m

Data 11 luglio 2020

Sentiero parzialmente segnato

Dislivello 1.364 m

Distanza 21,96 km

Tempo totale 10:10 h

Tempo di marcia 8:33 h

Cartografia CAI Monti della Laga

Descrizione Dalle Macchie Piane (1.600 m) per i Quarti, Pizzo di Sevo (2.419 m, +2 h), il Pizzitello (2.221 m, +33 min.), il Termine (2.022 m, +32 min.), e la Macèra della Morte (2.073 m, +13 min.). Ritorno per Monte li Quarti (1.954 m, +18 min.), Cima Fonteguidone (1.863 m, +21 min.),  Colle di Marco (1.735 m, +1,15 h), gli Stazzi del Castellano (1.775 m, +54 min.), il Vado di Annibale (2.119 m, +1,12 h), il Tracciolino di Annibale e le Macchie Piane (+1,15 h). Dopo il Colle di Marco cercare la traccia segnata leggermente più a valle. Escursione impegnativa ma tutto sommato agevole in ambiente grandioso e solitario. Avvistata una piccola vipera.

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Traccia GPS

07maceramortedislivello
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044 Me

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043 Stazzi del Castellano

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042 Cascata Regina

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041 Colle di Marco iscrizioni

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040 Colle di Marco iscrizioni

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038 Fosso di Quarti

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037 Fosso di Quarti

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036 Fosso di Quarti

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034 Verso Stazzi del Castellano

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033 Verso Stazzi del Castellano

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032 Verso Stazzi del Castellano

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031 Verso Stazzi del Castellano

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030 Stazzo di Casadonica

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029 Verso Cima Fonteguidone

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028 Verso Cima Fonteguidone

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027 Valle della Corte

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026 Da Monte li Quarti

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025 Monte Vettore

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024 Macera della Morte

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023 Macera della Morte

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022 Il Termine

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020 Verso il Termine

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019 Dal Pizzitello

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018 Monte dei Morti

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017 Monte Vettore e Pizzitello

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016 Pedicularis verticillata

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015 Costa Stazzo di San Lorenzo

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014 Costa Stazzo di San Lorenzo

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013 Pizzo di Sevo

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012 Pizzo di Sevo

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010 Pizzo di Sevo

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009 Pizzo di Sevo

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007 Piani di Castelluccio

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006 Monte Vettore e Monte Le Vene

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005 Monte Vettore

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003 Verso Pizzo di Sevo

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002 Lago di Scandarello e Terminillo

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001 Macchie Piane

Macèra della Morte, 11 luglio 2020. Il tempo è importante in montagna. Sì, anche perché quando è brutto non ho più voglia di andarmi a sbattere per vette e per valli avendo solo affascinanti ma limitate visioni di mondi lontani. Ma soprattutto è rilevante il tempo cronologico, che nella fatica e nello stupore assume alla nostra percezione le forme e le dimensioni più inusuali.

Già, perché, cosa è il tempo? Nessuno è riuscito a darne una definizione univoca se non come misura del trascorrere degli eventi, ed io, da buon soggettivista (l’oggetto conosciuto non può prescindere dal soggetto conoscente) ritengo dipenda dallo stato d’animo contingente.

E in montagna, come dicevo, il tempo diviene elastico, malleabile, si spalma e si adatta alle situazioni del momento. Una salita ripida e faticosa, dura un tempo infinito; un passaggio difficile assorbe totalmente la nostra attenzione e quando ne usciamo fuori, scopriamo che invece di un minuto è trascorsa un’ora. E che dire del paragone fra otto ore di lavoro e le dieci di cammino di oggi? Quelle arrancano, queste volano, anche se – ecco un altro paradosso temporale – se volgo la mente a questa mattina, quando ho posato gli scarponi sul sentiero, mi sembra trascorsa un’eternità, tanta è stata la successione di momenti ed emozioni.

È evidente in queste situazioni come il consueto comprima il tempo, mentre l’insolito lo dilati. Ma noi viviamo nel tempo, ne siamo assorbiti, soggiogati per tutta la nostra esistenza: impalpabile quarta dimensione più reale di quelle tangibili e spaziali.

Sia come sia, è un’alba un po’ caliginosa quando mi avvio dalle Macchie Piane verso il noto Tracciolino di Annibale. Ma a quota 1.750 decido si deviare e di raggiungere la vetta del Sevo per il me ignoto versante ovest, lungo la cosiddetta via dei Quarti. Perdo e trovo i segni più volte, ma non importa, essendo comunque la montagna sempre sopra di me. Ma soprattutto mi si apre un mondo di vie pastorali che per andamento e riflessi ricorda la dirimpetta Via Ranna.

Il Vettore sorge meraviglioso, e appena il tempo di due ore per raggiungere i 2.419 metri di un fiorito Pizzo di Sevo, che se ne sta lì solitario con la sua croce a mirare la luna.

La lunga dorsale del mio cammino si svolge ora su un’ampia brughiera di quota dai sentori scozzesi, a fil di confine fra Lazio e Abruzzo. Il Vettore continua a essere un’incombente e gradita presenza dalla quale è arduo staccare lo sguardo. Ogni tanto getto un occhio anche nella valle dalla quale dovrei tornare, remota a solitaria come necessita il mio animo.

Scavalco il Pizzitello e sono al Termine, dove s’incontrano i confini di Lazio, Marche e Abruzzo: e scopro che questo è uno dei quattordici punti geografici che costituiscono i triplici confini fra le regioni italiane.

La vicina Macèra della Morte è un balcone formidabile sull’immancabile Vettore. Sbocconcello dei pomodori, riflettendo sul crudele nome di questa bella vetta: che sia dovuto al leggendario passaggio di Annibale? La leggenda vuole infatti che qui ci sarebbe stata una battaglia fra Romani e Cartaginesi e che i corpi dei numerosi caduti siano stati accatastati in alte pire. Qui sotto c’è anche un Monte dei Morti.

Una facile cresta erbosa affacciata sulla Valle della Corte accoglie ora i miei passi, che scavalcano Monte li Quarti e Cima Fonteguidone per scendere finalmente nella parte più selvaggia e incognita del percorso, regno di antichi stazzi collegati d’ancor più antiche vie pastorali. E infatti, dopo qualche indecisione sulla via da seguire, scorgo una traccia sufficientemente incisa, anche sommariamente segnata con vernice e paletti, che affronta l’articolato sistema di cenge e balze che univa gli stazzi della Valle del Castellano. Seguo questo balcone di arenaria, lanciato su boschi profondi, superando fossi sempre più grandiosi ormai poveri di acque. Mi rifornisco finalmente di orapi, mentre cardi e ortiche martoriano le mie tibie nell’attraversamento di ampi pianori. Dal Colle di Marco un fugace sguardo alla lontana Cascata Regina e quindi, ai diffusi Stazzi del Castellano, è tempo del pranzo, di un pediluvio e di una carica di tabacco … alla ricerca del tempo perduto.

Ancora orapi a profusione e poi la salita al Vado di Annibale è dura come me l’aspettavo, anche perché perdo quasi subito i segni e arranco su diretto per ripidi pendii erbosi.

Alla sella che segnò il mitico passaggio di Annibale con i suoi elefanti, mi siedo stanco sereno appagato a mirare questo mondo immutabile nel tempo. E mi ricordo di Ezra Pound: “Io so, non per teoria ma per esperienza, che si può vivere infinitamente meglio con pochissimi soldi e un sacco di tempo libero, che non con più soldi e meno tempo. Il tempo non è moneta, ma è quasi tutto il resto".