Monti Invisibili

Monte Amaro

Quota 2.793 m

Data 21 ottobre 2017

Sentiero parzialmente segnato

Dislivello 2.359 m

Distanza 33,95 km

Tempo totale 13:38 h

Tempo di marcia 12:23 h

Cartografia Il Lupo Majella

Descrizione Da Fara San Martino, frazione Colle San Leonardo (553 m), per il Piano del Lago (603 m), la Grotta della Selva (1.155 m), Monte Tarì (1.467 m, +2,21 h), la cresta sud della Valle di Macchia Lunga, Piano Amaro (2.557 m), Grotta Canosa (2.604 m, +4,22 h), Monte Amaro (2.793 m, +55 min., 8,15 h dalla partenza), il Rifugio Manzini (2.523 m, +42 min.), la Valle Cannella, la Fonte Milazzo (1.637 +1,48 h), la Valle di Macchia Lunga, Bocca dei Valloni (1.055 m, +42 min.), la Valle di Santo Spirito, il parcheggio delle gole di (456 m, +1,11 h) e la macchina (+22 min., 5 h dalla vetta). Escursione lunga e faticosa in ambiente maestoso, solitario e selvaggio. Numerosi camosci sulla cresta e sulla Cima dell’Altare.

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Traccia GPS

07murelledislivello
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053 Santo Spirito

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052 Valle Cannella

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049 Rifugio Manzini

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048 Valle Cannella

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046 Monte Amaro

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045 Monte Amaro

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044 Bivacco Pelino

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042 Bivacco Pelino

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041 Bivacco Pelino

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039 Da Monte Amaro

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038 Grotta Canosa

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037 Piano Amaro

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035 Piano Amaro

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033 Verso Monte Amaro

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031 Verso Monte Amaro

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030 Verso Monte Amaro

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027 Verso Monte Amaro

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026 Verso Monte Amaro

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025 Escrementi di lupo

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024 Lago di Casoli

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023 Valle di Macchia Lunga

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022 Verso Monte Amaro

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019 Verso Monte Amaro

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018 Verso Monte Amaro

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017 Verso Monte Amaro

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016 Verso Monte Amaro

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015 Mantide religiosa

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013 Da Monte Tari

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012 Da Monte Tari

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011 Da Monte Tari

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010 Da Monte Tari

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009 Monte Tari

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008 Verso Monte Tari

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007 Verso Monte Tari

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004 Grotta della Selva

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003 Grotta della Selva

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002 Verso Monte Tari

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001 Verso Monte Tari

Monte Amaro, 21 ottobre 2017. Di cosa ha bisogno un uomo? Di una famiglia, di una compagna, di un deserto.

Un deserto dove incontrare di nuovo la propria anima: nel silenzio della fatica, nello sgomento degli orizzonti sconfinati, nella paura di non farcela, nella solitudine dell’oscurità.

Thoreau nel Walden scrive: “Tutti gli uomini hanno bisogno non di qualcosa con cui fare, ma di qualcosa da fare, o piuttosto di qualcosa per essere”.

Essere e fare: due verbi che qualificano il carattere di un uomo, perché l’essere conduce al fare, e il fare (eventualmente) all’avere, parola invece al vertice della nostra società.

E una fuga nel deserto – un’esaltazione dell’essere e del fare, dove l’avere sono state le emozioni e qualche dolore – è stata questa profonda incursione sulla Montagna Madre, quella più vera solitaria e possente.

Poche ore di sonno e alle 7 sono in marcia da una Fara San Martino addormentata, con il sole ancora celato dalla linea dell’orizzonte. Il ripido bosco de La Selva inghiotte i miei primi lesti passi, in sentori di autunno che si fanno sempre più marcati e decisi. La traccia appare e scompare guidata da rari segni che è bene non perdere.

La panoramica Grotta della Selva ed eccomi finalmente ai 1.467 metri di Monte Tarì, panoramica elevazione che mi apre la vista su tutta la lunghissima cresta odierna. La Cima dell’Altare appare lontana e irraggiungibile; la Valle di Macchia lunga si perde nelle alte quote in un’inusuale prospettiva.

La cresta procede ripida, aggirando infiammati faggi danzanti, fra ciuffi di peli, piccole ossa e villose fatte di lupo che ricordano come questo selvaggio territorio sia dominio dell’animale simbolo del parco.

Ai 2.000 metri la cresta diventa meno aspra, ma la mia solitudine si fa più densa mentre ammiro dall’alto il Piano della Casa e la remota Valle delle Mandrelle che scorta il perfido Pizzone e l’imponente Acquaviva.

Ai 2.250 metri entro nel deserto di quota degli sconfinati altipiani sommitali: un ambiente lunare dagli orizzonti infiniti, fatto di piatte rocce calcaree e sfasciumi dove emergono numerosi i fossili di questo relitto oceanico.

La cupola rossa del Pelino risalta lontana, solo un puntino che l’inclinazione ora lieve rende un asintoto irraggiungibile. Dalla Cima dell’Altare un branco di camosci sorveglia il mio passo ormai lento; procedo nell’orizzonte sconfinato di una solitudine paurosa.

Finalmente il cammino s’impenna e sono oltre otto ore quando i toni caldi dell’ora m’introducono, disfatto e sfinito, nella cupola rossa del Bivacco Pelino, appena sotto i 2.793 metri dell’Amaro.

Sono senza forze e senza volontà, vorrei solo dormire. Sbocconcello qualcosa, bevo e miracolosamente l’energia riprende a circolare. Come un astronauta contemplo il mondo da questa navicella dove tante volte ho dormito, in estate e in inverno, da solo o in compagnia.

“La vera pace di Dio comincia in qualunque punto a mille miglia dalla terra più vicina”, afferma Conrad nel Negro del Narciso: qui basta molto meno.

Sono quasi le sedici e le ombre lunghe m’inducono a riposarmi nel cammino; intraprendo una discesa senza fine che mi perde nella silente maestosità dei luoghi.

Dalla già cupa Valle Cannella, abbondantemente chiazzata di neve, sfioro il gelido Rifugio Manzini, ultimo avamposto di civiltà per molte ore a venire e, mentre il Monte Sant’Angelo s’incendia di tramonto, percorro la valle dalle proporzioni extraeuropee dove avverto piccolo fragile eppure forte il mio essere.

Scendo scendo e scendo, con le vette che si elevano e la notte che si approssima. Ai 1.637 metri della Fonte Milazzo mi concedo un pasto frugale, armo le torce e con le ultimi bagliori mi tuffo nell’oscura foresta della Valle di Macchia Lunga.

Dopo l’avventura sul Gran Sasso, è non senza apprensione che affronto il bosco notturno, di un’oscurità che spegne lo sguardo e accende l’animo di suggestioni: un cespuglio mi guarda con tanto d'occhi, un albero mi sorride, un pinguino su una roccia, uno gnomo... ah sì: anche un panda.

Le pareti si elevano e si avvicinano, i passi risuonano come in una cattedrale mentre attraverso le sale, colme d’invisibili stillicidi e nascosti versi animali. Spengo la torcia e rimango alcuni minuti nell’oscurità con per tetto un cielo di stelle.

L’entrata nelle Gole di San Martino ha l’effetto dell’ingresso in una grotta. Una luce fende finalmente il buio e il deserto mi riconsegna di nuovo alla civiltà, più ricco nell’essere dopo tanto fare.

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