Monti Invisibili

Eremo di San Famiano

Quota 163 m

Data 9 aprile 2017

Sentiero parzialmente segnato

Dislivello 222 m

Distanza 6,89 km

Tempo totale 3:51 h

Tempo di marcia 3:04 h

Cartografia IGM 143 I SE Nepi

Descrizione Dalla sterrata per il Castello di Paterno (190 m) per il Fosso della Mola di Faleria (104 m, +40 min.) e l’Eremo di San Famiano (163 m, +1,20 h). Ritorno per il Fosso della Mola Faleria (102 m, +28 min.) e la macchina (+36 min.). All’andata cercato l’eremo troppo a nord con notevoli difficoltà di progressione su terreno ripido, impervio, con vegetazione spinosa e intricata. Per il ritorno seguiti radi e invisibili segni neri sugli alberi e guadato il torrente 200 metri più a valle. L’unico percorso fattibile è quello del ritorno.

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Traccia GPS

Traccia GPS
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Eremo di San Famiano, 9 aprile 2017; 384.066 m. Per anni me ne sono andato in giro per il mondo e di avventure, fra viaggi solitari, luoghi remoti, arresti ed espulsioni, ne ho vissute parecchie.

Ora non è che non mi garbi più andare a cacciarmi nei guai lontano da casa, ma il tempo latita (per tacer del valsente) e allora ho volto lo sguardo a quanto c’è di più vicino, entrando nel magico mondo della microavventura. Esplorazioni, ricerche, scoperte a poche ore da casa, a volte addirittura a pochi minuti, per accorgersi che quello che ti muove non è più la distanza, ma un mutamento della visione che ti svela l’avventura la dove si trova e non per forza dall’altra parte del pianeta.

E queste microavventure hanno il pregio di poter essere intraprese, con pochi mezzi e poco tempo, in qualsiasi momento della settimana o perfino della giornata: con una fuga mattutina in bicicletta, seguendo un sentiero ignoto mentre porti a spasso il cane, scavalcando un cancello che altre volte non avevi notato.

Perché l’avventura non è un luogo ma uno stato dell’anima che ti spinge a voltare l’angolo solo per vedere cosa c’è dietro.

E una vera e propria microavventura è stata questa esplorazione nell’Agro Falisco, alla ricerca del mitico Eremo di San Famiano, monaco cistercense di Colonia, in Germania, che intorno all’anno 1150 a lungo vagò per la Tuscia, divenendo infine santo protettore di Gallese, in provincia di Viterbo.

Poche informazioni avevo scovato sull’esatta localizzazione di questo romitorio, collocato comunque nelle precipiti pareti del Fosso della Mola Faleria, tributario del fiume Treja. Passandoci a dicembre, di ritorno dal Castello di Fogliano, mi era parso evidente che da quel versante si sarebbe potuta raggiungere la presunta localizzazione solo calandosi con una corda, e allora ho cercato di almanaccare un percorso dall’altro lato, quello del Castello di Paterno.

Parcheggiata la vettura sulla strada per questo maniero, un comodo tratturo fra ulivi e noccioleti ci cala rapidamente nell’intricato rigoglio del Fosso della Mola Faleria.

Fra gli argentini gorgoglii dell’acqua cristallina individuiamo un punto buono per il guado e siamo sull’altra sponda, dove diamo l’avvio a una progressione lenta e difficile, su un erto pendio scivoloso, reso ancora più malagevole da una fitta, intricata e spinosa vegetazione tempestata di alberi caduti.

Il gps ci indica la direzione verso l’ipotetica collocazione dell’eremo, ma di questa non v’è certezza e per ora è più importante cercare dove si possa passare, in questo mondo tanto vicino alla civiltà, quanto remoto e solitario.

Alice: Quale via dovrei prendere? Stregatto: dipende dove vuoi andare. Alice: ma io non so dove andare. Stregatto: allora non importa quale via prendere!

Alcuni invisibili segni neri attirano la nostra attenzione: sembrano fatti apposta per essere visti solo da chi sa che ci sono. Iniziamo a seguirli su quella che appare una traccia, mentre il nostro grado di eccitazione cresce. Poi li perdiamo e in breve siamo sotto una verticale parete rocciosa che reca tracce di scavo. La percorriamo nei due sensi, rischio di mettere la mano su una vipera, ma dell’eremo nessuna traccia.

Torniamo ai segni a bassa visibilità. Con un po’ di attenzione individuiamo quello nascosto che ci eravamo persi e infatti ecco che ci guida: improvvise fra le fronde ci osservano le orbite vuote dell’Eremo di San Famiano. Viva è l’emozione e prendiamo a saltellare come scemi.

Nicchie, i resti di una vasca di raccolta dell’acqua, anelli di pietra per legare gli animali, forse un forno. Qualcuno ci viene e lo mantiene pulito, ma cerca di tenere segreto il luogo.

Entriamo in un primo ambiente, altre cavità si aprono elevate e irraggiungibili. Una seconda grotta presenta una scala scavata nella roccia e saliamo nel buio in una camera le cui finestre si aprono alte nel costone; nicchie, scanni e giacigli scavati nel tufo, una sorta di altare: respiriamo nel silenzio i sentori di vite millenarie.

Per il ritorno seguiamo i segni neri, li perdiamo un paio di volte, ma alla fine ci scortano a un facile guado duecento metri più a valle del primo e in breve al tratturo per la macchina.

La microavventura odierna termina qui, si torna alla vita di tutti i giorni, ma altre ce ne saranno, perché “l'avventura sta nello spirito di chi la cerca, e, appena si riesce a toccarla con un dito, quella svanisce per rinascere più in là, in altra forma, ai confini delle fantasia”. (Pierre Mac Orlan, Piccolo manuale del perfetto avventuriero).