Massiccio del Pollino
Quota 2.180 m
Data 15 giugno 2013
Sentiero parzialmente segnato
Dislivello 1.560 m
Distanza 27,83 km
Tempo totale 10:47 h
Tempo di marcia 9:38 h
Cartografia Carta Escursionistica del Pollino Lucano 1:50.000
Descrizione Dal parcheggio di quota 1.550 per il Colle dell’Impiso (1.573 m, +4 min.), la Serra del Prete (2.180 m, +1,14 h), il rifugio Gaudolino (1.684 m, +48 min.), l’incrocio nel Bosco di Chiaromonte con il sentiero che sale dai Piani di Vacquarro (1.690 m, +28 min.), l’uscita sulla Piana del Pollino (1.782 m, +17 min.), la Serretta della Porticella (2.000 m, +1,04 h), la Serra di Crispo (2.053 m, +18 min.), di nuovo l’attraversamento della Piana del Pollino fino alla Sella delle Ciavole (1.880 m, +1,21 h), il Piano di Acquafredda (1.799 m), la Timpa del Pino di Michele (2.049 m, +1,11 h), di nuovo il Piano di Acquafredda e la Sella delle Ciavole (+1,05 h), l’attraversamento dei piani di Toscano e del Pollino con reingresso nel Bosco di Chiaromonte (1.782 m, +39 min.), il Colle dell’Impiso (+1,07 h) e la macchina (+2 min.). Bellissima escursione in ambiente maestoso e selvaggio. Giornata splendida con vista fino allo Jonio.
074 Rifugio Fasanelli
073 Piano di Toscano
072 Verso la Timpa del Pino di Michele
071 Verso la Timpa del Pino di Michele
070 Serra delle Ciavole
069 Verso il PIano di Toscano
066 Serra delle Ciavole
065 Verso la Piana del Pollino
062 Massiccio del Pollino
061 Monte Pollino
057 Serretta della Porticella Marco
054 Verso la Serretta della Porticella
053 Verso la Serretta della Porticella
049 Verso la Serretta della Porticella
045 Verso la Serretta della Porticella
044 Verso la Serretta della Porticella
042 Grande Porta del Pollino
040 Piana del Pollino cavalli
039 Piana del Pollino cavalli
038 Raganella
037 Massiccio del Pollino
034 Colle Gaudolino
032 Rifugio Gaudolino
030 Serra del Prete
028 Verso Serra del Prete
027 Verso Serra del Prete
Massiccio del Pollino, 15 giugno 2013. Giunto a questo punto del mio cammino di vita e di montagna cercherò di dare nuovamente risposta a una domanda alla quale mi ero già applicato in passato, rimanendo forse sulla superficie del problema: “Perché vado in montagna?”.
Citandomi, alcuni anni or sono avevo scritto: "Ma alla fine cosa mi spinge su per le montagne? Cosa è tutto questo andar per monti senza costrutto? In parte sicuramente il desiderio di lasciarsi alle spalle, anche solo per poche ore, l’artificiale vita cittadina. Ma il piacere della scoperta, dell’esplorazione è sopra tutto".
Insomma, tutto vero, ma allora ho solo spostato i termini del problema: quale è la radice di questo piacere della scoperta, dell'esplorazione?
Non posso negare di vivere sovente l'escursione in montagna come una sorta di campagna militare: l'individuazione dell'obiettivo, il reperimento delle informazioni, la pianificazione sulla cartografia, l'armamento dello zaino; e poi via nel folto del bosco, lo studio del territorio, la tensione dei sensi alla ricerca della traccia, degli odori, dei segni che possano far intuire la direzione o la presenza di altri bipedi o quadrupedi; e ancora l’espugnare un passaggio difficile, il rapido nascondersi sul far del buio a rumori improvvisi, il trinceramento fra i massi durante un bivacco notturno; e infine la conquista e il ritorno, vittorioso o sconfitto ma profondamente vivo e dove il nemico non è certo la montagna, ma dentro di te.
E allora, se è vissuta come una guerra, forse il senso è proprio questo: il recupero della dimensione epica della vita, con la riduzione dell’esistenza ai bisogni fondamentali e istintivi, in barba alla noia quotidiana e al materialismo dilagante. Un gesto, un'azione inutili, senza alcuna funzione utilitaristica, uno spreco se vogliamo, ma in grado di far nuovamente sentire l'individuo un eroe, almeno con se stesso. Perché anche se praticata in gruppo, la montagna è sempre l’affermazione del singolo individuo, che torna tale nel rapporto con gli elementi, con il proprio io e quindi anche con gli altri, alla faccia del collettivismo politicamente corretto.
E una sorta di campagna militare è stata anche questa incursione nel poderoso e solitario territorio del Pollino, in compagnia del milite Andrea.
Dopo la profonda notte di sonno ai freschi 1.350 metri del rifugio, alle 7,45 siamo già con gli scarponi al Colle dell'impiso, con un'aria limpida che promette molto per lo zenit della giornata. Attacchiamo subito la Serra del Prete, il primo duemila della nostra spedizione: una montagna che non lascia requie con un sentiero che sale inesorabile alla vetta. Violette, ranuncoli e dorati margheritoni alleviano la nostra fatica, mentre il mondo sorge dalle brume intorno a noi. Un'ora e un quarto per i 2.180 metri dell'ampio pianoro sommitale, dove lo sguardo spazia incontrastato su tutto il percorso odierno e oltre.
Ci predisponiamo per una discesa fuori sentiero verso il Colle Gaudolino, quando una processione di radi ometti attira la nostra attenzione, presto accompagnati dai familiari segni bianchi e rossi. L'evidente traccia ci scorta fra pietraie e faggete ad aggirare il versante orientale della montagna, e mentre caliamo rapidamente verso la nostra meta, il Monte Pollino sorge possente sopra di noi.
Il sempre accogliente rifugio Gaudolino ci saluta brevemente e subito cerchiamo il modo per arrivare col minimo dispendio alla grande Piana del Pollino. La rotta del Gps ci conforta mentre procediamo lungo la carrareccia che s'immerge nel fitto della grande Foresta di Chiaromonte. La luce gioca con le foglie nella frescura del sottobosco e dieci spanne ai nostri lati è oscurità totale.
Usciamo sui luminosi e sconfinati piani in netto anticipo sulla tabella di marcia e, siccome che parafrasando Doc Emmett Brown: "Sentieri? Dove andiamo noi non c'è bisogno di sentieri!", prendiamo diretti su terreno d'avventura verso il secondo duemila della Serretta della Porticella.
Il sole inizia a martellare inesorabile, ma lo spettacolo dell’immenso piano fiorito popolato di armenti e chiuso dalla possente bastionata che rilega la Serra del Prete al Dolcedorme passando per il Pollino, tiene alto il nostro entusiasmo. Alla Grande Porta del Pollino ci accolgono i due grandi pini guardiani che ci offrono ombra per una necessaria bevuta e ci lasciano passare nel Giardino degli Dei. Le contorte figure dei loricati ci scortano su per la cresta: tronchi calcinati si protendono verso il cielo, altri danzano in contorte posizioni; e dai 2.000 della Porticella lo sguardo si libra sui vicini boschi e sulla più remota curvatura dello Jonio, che si perde nella foschia.
Ancora stupore per gli ultimi passi che fra le cortecce scudate ci portano in vetta al terzo duemila: i 2.053 metri della Serra di Crispo, dove un panino con la frittata di melanzane rosse segna la metà della nostra giornata.
Per raggiungere la Timpa del Pino di Michele, quarto e ultimo duemila, si tratta ora di traversare tutti i piani del Pollino. Una diurna luna ci osserva mentre sfiliamo inesorabili sotto la Serra delle Ciavole e attacchiamo l'omonima sella che ci fa sconfinare in terra di Calabria, con le gambe ormai pesanti e piccole molestie volanti che iniziano a far banchetto di noi. Il remoto piano di Acquafredda ci avvia sornione alla parte più dura del percorso, quel lungo e disagevole traverso che fra nugoli di moscerini appiccicosi, rami saettanti, infidi nevai e malmesse pietre ci conduce finalmente ai 2.049 della timpa.
Con l'aria che già rinfresca iniziamo con timore a guadagnare metri verso il ritorno, attraversando, con il sole ormai prossimo alla linea dell’orizzonte, i vasti piani densi di mandrie. La stanchezza impera sovrana e i piedi di Andrea iniziano a gridare vendetta, ma lo stato mentale di profonda soddisfazione ci fa macinare i chilometri con levità, fra una chiacchiera e una facezia, uno spunto meteorico e un miraggio. L'ultima salita al Colle dell'impiso è micidiale come temevamo e sono quasi undici ore di cammino quando riapprodiamo sporchi e appagati alla macchina. Questa sera il fumo di un Toscano del Presidente suggellerà questa splendida giornata di libertà.