Monti Invisibili
San Quirico - Sorano
Vie cave, necropoli e acquedotti
Quota 504 m
Data 29 gennaio 2022
Sentiero parzialmente segnato
Dislivello 405 m
Distanza 20,99 km
Tempo totale 7:43 h
Tempo di marcia 6:43 h
Cartografia Il Lupo Alta Maremma Selva del Lamone
Descrizione Dal parcheggio dell’area archeologica di San Quirico (475 m) per l’insediamento rupestre di Vitozza (470 m, +27 min.) con visita del sito (1,10 h), la discesa verso il Fiume Lente (375 m, +20 min.) con l’Acquedotto Vitozza - Sorano, il Ponte Acquedotto del Bicchiere (370 m, +10 min.) e 1.200 m (andata e ritorno) all’interno del cunicolo idraulico dell’acquedotto (50 min.). Poi per la Via Cava di San Rocco (300 m, +1,15 h), la Chiesa di San Rocco (390 m, +24 min.), il belvedere (385 m, +7 min.), di nuovo la via cava e Sorano (380 m, +30 min.) con visita del borgo (35 min.). Ritorno per la Strada Provinciale San Quirico (4,79 km, +55 min.). Avvistati due caprioli, nei cunicoli alcuni pipistrelli e una miriade di rhaphidophoridae (grilli delle caverne). Fantastico e avventuroso anello fra storia e natura.
076 San Quirico
075 Sorano Fortezza Orsini
074 Sorano
073 Sorano
071 Sorano
069 Sorano sinagoga
068 Sorano
067 Sorano
066 Sorano Porta dei Merli
065 Sorano
063 Via cava di San Rocco
062 Via cava di San Rocco
060 Via cava di San Rocco
058 Via cava di San Rocco
057 Via cava di San Rocco
056 Via cava di San Rocco
055 Via cava di San Rocco
054 Verso Sorano
053 Sorano
052 Verso Sorano
051 Verso Sorano
050 Acquedotto Vitozza-Sorano
049 Acquedotto Vitozza-Sorano
048 Acquedotto Vitozza-Sorano
047 Acquedotto Vitozza-Sorano
044 Acquedotto Vitozza-Sorano
043b Rhaphidophoridae
043a Rhaphidophoridae
043 Pipistrello
042 Acquedotto Vitozza-Sorano
040 Acquedotto Vitozza-Sorano
039 Acquedotto Vitozza-Sorano
037 Acquedotto Vitozza-Sorano
034 Acquedotto Vitozza-Sorano
033 Acquedotto Vitozza-Sorano
032 Ponte acquedotto del Bicchiere
031 Ponte acquedotto del Bicchiere
030 Acquedotto Vitozza-Sorano
029 Acquedotto Vitozza-Sorano
028 Acquedotto Vitozza-Sorano
027 Acquedotto Vitozza-Sorano
026 Sorgenti del Lente
025 Verso Sorgenti del Lente
022 Verso Sorgenti del Lente
021 La Chiesaccia
020 La Chiesaccia
019 La Chiesaccia
018 Grotta a due piani
016 Grotta a due piani
015 Grotta a due piani
014 Vitozza
013 Grotta della Riccia
012 Grotta della Riccia
011 Grotta della Riccia
009 La Roccaccia
008 La Roccaccia
007 Vitozza
006 Verso Vitozza
005 Verso Vitozza
004 Foglie inverno
003 Verso Vitozza
002 Verso Vitozza
001 San Quirico
Sorano, 29 gennaio 2022. Mi avvedo che sono ormai trentacinque anni che scribacchio diari di viaggio e di cammino. Nel luglio 1988, al terzo Interrail, presi un taccuino e iniziai a buttare giù le prime sgangherate riflessioni sulle mie peripezie: avventure, incontri, imprevisti e sbornie solenni; appuntati in un treno, una nave, un paracarro, una pensione di quart’ordine o in cima a una montagna.
E così c’ho preso gusto, col tempo lo stile si è affinato, il cammino ha preso il sopravvento sul viaggio tout court e penna e moleskine (in omaggio a quel gran viaggiatore che è stato Chatwin) non mi hanno più abbandonato.
Il fatto è che la penna è un catalizzatore capace di fissare indelebilmente i pensieri; un distillatore delle emozioni in grado di ripulirle dalle scorie per raggiungerne il cuore; un bisturi capace di dissezionare l’anima per mostrarla a tutti, e soprattutto a se stessi.
E così scrivere del mio cammino è diventato come il camminare stesso: un momento ineliminabile e necessario come allacciare gli scarponi, e senza il quale il cammino stesso non sarebbe completo.
Perché ormai so che non cammino per raggiungere una meta, ma perché la mia coscienza si accordi armoniosamente all’inconscio e l’inconscio al mondo.
E fra i cammini dove questa armonia emerge più prepotente, c’è sicuramente quello odierno: un susseguirsi ininterrotto di ambienti e di avventure, conditi di solitudine e di una buona dose di fatica. In aree dove la storia, remota e prossima, l’ha fatta da padrona e dove la natura ora è di nuovo sovrana.
Nel gelo grigio dell’inverno ci avviamo in questo lembo di Maremma, dal borgo di San Quirico alla volta di Vitozza, uno dei tre più importanti abitati rupestri nazionali insieme ai Sassi di Matera e a Pantalica, in Sicilia.
Abitato rupestre vuol dire una miriade di grotte dove le persone vivevano come in una città: caverne con focolari, forni, stalle, immagini sacre, armadi a muro e quant’altro, tutto scavato nella viva roccia tufacea. Persone delle quali si ricordano ancora alcuni nomi (Maria Agostina Brunetti detta la Riccia, Laura Benocci, Giuseppe Brogi, Domenico Dattili) che in austera povertà crearono ambiente ipogei confortevoli, a più piani e a più stanze, tutti rivolti al sole del mattino.
Case dei vivi che lo sono state prima dei morti, dove le testimonianze della vita affiorano dalla roccia. Perché Vitozza prima di Vitozza era già un importante sito che dall’età del bronzo e dagli etruschi ha cavalcato i secoli, attraverso il medioevo fin quasi al 1800 e poi di nuovo durante la guerra.
Arroccata nella sua posizione dominante, fra i fossi del Lente e del Felcetone, ha visto fiorire il suo abitato, difeso da una cinta muraria e da ben tre poderose rocche, le cui rovine emergono ora mute da una vegetazione ormai egemone.
Passi felpati su una tagliata tappezzata di muschio ci portano fuori di questo mondo fuori dal tempo e siamo sulla rotta verso il Lente, al pari del Lenta, del Mignone e del Crèmera uno dei corsi del fluviale universo etrusco.
I surreali archi dell’Acquedotto per Sorano si alzano sulle brumose sorgenti: poderosi come un manufatto romano, alti come un uomo.
Su scale come un litografia di Escher entriamo in un bottino rimbombante d’acque e poi seguiamo il corso del fiume sulle orme dell’acquedotto, inaugurato il 23 giugno 1867 dopo cinque chilometri di lavori, al costo di 85.658,91 lire.
Oltrepassato l’esile Ponte Acquedotto del Bicchiere, si apre l’antro oscuro del cunicolo idraulico, al cui richiamo non resistiamo. Armate le torce c’immergiamo in una densa oscurità, seguendo un sistema di tubature in coccio e in ferro, lungo gallerie che si addentrano per oltre quattro chilometri nei costoni tufacei. Pipistrelli sulle pareti, fatte di istrice e di cinghiale a terra, mentre una miriade di mollicci grilli delle caverne ci precipitano addosso.
Lamine di luce accendono a tratti la stretta galleria che s’interrompe per scavalcare su un aereo ponte il Fosso dell’Olmo. Dopo seicento metri siamo di nuovo fuori e un altro antro c’invita a proseguire, ma a questo punto decidiamo di tornare indietro: anche perché nessuno sa che siamo qui.
Rientrati alle sorgenti riprendiamo il cammino verso Sorano, fra tortuosi e scoscesi valloni in un piacevole ambiente vallivo di lungofiume.
Il borgo tufaceo dalle abitazione addossate alla roccia ci appare improvviso, ma subito ne abbandoniamo la vista per scendere di nuovo nella valle e introdurci nei suoni attutiti dell’incredibile Via Cava di San Rocco. L’antica tagliata sale ripida a strette svolte, fra alte pareti verticali e grotte. Il fondo è tappezzato di foglie poggiate sopra piccole ghiande che pare di camminare su delle biglie.
Raggiungiamo uno scenografico sperone tufaceo, alto sulla Valle del Lente e aperto su Sorano, dove consumiamo un fugace e spettacolare pasto.
La discesa nella via cava e come calare in un pozzo e poi attraverso la Porta dei Merli siamo per le vie del borgo solatio e solitario. Ci aggiriamo per viottoli e cantoni; un sorso alla fontana dell’acquedotto e varchiamo le mura della Fortezza Orsini. Cinque facili chilometri di strada ci ricondurranno a San Quirico.
È vero: il cammino rende liberi!